Pericolosa corsa alla censura negli Usa: aumentano i libri proibiti nelle scuole

In sei mesi aumentati del 28 per cento i libri vietati nelle scuole pubbliche americane. Il rischio di perdere la libertà a pezzi, libro dopo libro

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Negli Stati Uniti sta avendo luogo una autentica corsa alla censura, che vede Democratici e Repubblicani impegnati in uno scontro che rischia di erodere la libertà di tutti, e di avere ripercussioni anche su questa sponda dell’Atlantico.

Chi conosce la storia sa bene come vadano le corse agli armamenti di ogni tipo: una volta iniziate, tutte le parti coinvolte non hanno altra strada percorribile che quella di alzare sempre più il tiro, con la situazione che diviene contestualmente man mano più pericolosa. Nel caso in oggetto non si tratta di armi, ma di libri e di cultura, e della tendenza sempre più spiccata a volerne limitare la diffusione, con risultati sulla libertà di circolazione delle idee forse ancora più pericolosi.

I libri banditi dalle scuole

Vediamo però un po’ di numeri, per non dare l’impressione di montare un piccolo caso sul nulla. Ebbene, i numeri sono impressionanti: i libri vietati nelle scuole pubbliche statunitensi sono aumentati del 28 per cento soltanto negli ultimi sei mesi. A certificarlo è il rapporto “Banned in the USA: State Laws Supercharge Book Suppression in Schools”, realizzato da Pen America, l’associazione di categoria che riunisce molti scrittori statunitensi.

Di fatto, si tratta di un’autentica caccia alle streghe, con ben 1.477 libri che sono stati vietati nella prima metà dell’anno scolastico 2022-23.

Ma che cosa significa, all’atto pratico, una proibizione scolastica? In pratica, che questi libri non possono più trovare posto negli scaffali delle biblioteche delle scuole, che non possono essere assegnati come lettura da parte degli insegnanti, né adoperati all’interno di lezioni e progetti di studio. In pratica, vengono completamente eliminati dai luoghi in cui una buona percentuale dei giovani americani ha l’unica possibilità di venire in contatto con testi letterari.

La censura woke

È da qualche anno che si parla di censure di questo tipo, ma il fenomeno ha subito una escalation che appare davvero preoccupante. E come per tutte le corse agli armamenti, cercare di individuare chi abbia dato avvio all’effetto domino risulta un elemento, seppur rilevante, di certo meno importante rispetto al trovare un modo per interromperlo.

Qui sulle pagine di Atlantico Quotidiano ci siamo occupati spesso del fenomeno della woke culture, che ha di fatto portato negli Stati Uniti prima e in tutto l’Occidente poi una nuova ventata d’istinti censorî e liberticidi, sulla spinta di un supposto desiderio di raggiungere una giustizia sociale a vari livelli.

In effetti, la prima grande ondata di censure e limitazioni alla diffusione dei libri in ambito scolastico è stata voluta da istituzioni, educative e politiche, caratterizzate da posizioni liberal, per motivazioni ascrivibili alla forma mentis comunemente indicata come politicamente corretto: ancora oggi, dei 1.477 libri vietati in quest’anno scolastico, il 30 per cento è stato ritenuto colpevole di veicolare stereotipi o altre caratterizzazioni negative riguardanti la razza, di contenere espressioni linguistiche razziste o di includere personaggi di colore tratteggiati in modo non rispettoso.

La reazione conservatrice

Come se non bastasse, negli ultimi anni c’è stata una reazione della controparte sullo stesso tono. Un’importante fetta del mondo conservative è infatti passata a quello che interpreta come un contrattacco, e di conseguenza si sono unite a questa crociata censoria istituzioni scolastiche e governative di stampo conservatore.

Per continuare a ragionare sul piano concreto, dei libri banditi in questo anno scolastico, il 26 per cento presenta personaggi o temi legati al mondo Lgbtq, e/o include situazioni che descrivono relazioni emotive o sessuali in modo considerato poco consono alla popolazione scolastica o contrario ai comuni valori morali tradizionali.

Di fatto, ogni mese i divieti ai danni di libri si fanno più comuni anche negli stati a guida repubblicana, tanto che secondo il rapporto della Pen, da soli “sette distretti del Texas sono stati responsabili di 438 casi di divieto […] e 13 distretti della Florida sono stati responsabili di 357”.

Proprio il governatore della Florida, Ron DeSantis, considera la lotta alla diffusione di quello che solitamente viene molto sbrigativamente e alquanto opinabilmente etichettato come “porno nelle scuole” un caposaldo della sua azione politica e un tema fondamentale nella sua corsa, sebbene non ancora ufficiale, alla nomination come candidato per il Gop alla presidenza – di cui ormai rappresenta di fatto l’unico contendente di Donald Trump.

Logica dell’escalation

Il ragionamento che sta alla base di questo continuo botta e risposta è il caro vecchio “un po’ per uno non fa male a nessuno”. Se la parte avversaria approfitta di ogni possibilità fornita dal ricoprire un’autorità per attaccare le idee che non apprezza, in questo caso limitando la possibilità che vengano letti libri ritenuti in qualche modo “sbagliati”, perché noi non dovremmo fare lo stesso quando ci troviamo nella posizione di poterlo fare?

La risposta è complessa, o meglio è davvero difficile riuscire a staccarsi da questa mentalità da corsa al riarmo, della caccia alle streghe usata come arma e della rappresaglia. Ma alla fine dell’articolo tenteremo di darla.

I più censurati

Prima vorrei fornirvi però due esempi concreti di libri che vengono proibiti sempre più spesso, attaccati il primo da destra e il secondo da sinistra con tale acrimonia, da svettare nella classifica dei libri più censurati d’America.

Si tratta di classifica in cui sono in triste compagnia di un capolavoro come “Uomini e topi” di John Steinbeck e del classico moderno per ragazzi “Un ponte per Terabithia” di Katherine Paterson, ma anche “Huckleberry Finn” di Mark Twain e “Harry Potter” di Joanne K. Rowling, per dare un’idea della varietà – questi libri sono riportati nel cartellone creato da Pen America per protestare contro la crescente censura e riportato nella foto qui presente.

Credits: Pen America

“Il racconto dell’ancella”

Uno è “Il racconto dell’ancella” (The Handmaid’s Tale) scritto da Margaret Atwood nel 1985. Si tratta di un romanzo ambientato in un futuro distopico, in cui la società, posta di fronte a una crisi di natalità e all’incubo della recessione demografica si è affidata a una setta di ispirazione vagamente veterotestamentaria, che ha imposto negli Stati Uniti un regime teocratico.

In questo nuovo stato chiamato Gilead, le donne hanno un valore solo in quanto capaci di generare dei bambini: esiste un’élite di uomini, gli unici che abbiano facoltà di leggere e lavorare, che controlla il sistema, e assegna a ognuno dei “comandanti” un harem di “ancelle”, ossia donne fertili, la cui unica occupazione nella vita è espletare un accoppiamento mensile col comandante – che spesso e volentieri altro non è che uno stupro -, rimanere incinta e partorire. Chi non riesce, perché troppo anziana o non fertile, viene fisicamente eliminata o esiliata.

La protagonista non ha un nome proprio, perché tutte le ancelle vengono designate con quello del comandante cui appartengono. E così è “Difred” a raccontare come lo sprofondamento in questo incubo sia avvenuto gradualmente, quasi sempre col favore della popolazione, e di come la vita in questo mondo sia dominata dall’ipocrisia e dalla totale mancanza di ogni libertà, per chiunque, e che ogni tentativo di ritrovare quelle libertà che pochi anni prima venivano date per scontate viene represso con violenza.

“Il buio oltre la siepe”

Se Atwood parla di un possibile futuro, un altro libro nei primi cinque posti della lista di proscrizione ci porta invece nel passato: è “Il buio oltre la siepe” (To Kill a Mockingbird), capolavoro del 1960 di Harper Lee. Racconta la realtà sociale e la vita quotidiana dell’Alabama segregata degli Anni ’30 utilizzando una mirabile fusione di Southern Gothic e realismo, tanto da rappresentare probabilmente il più importante romanzo americano della seconda metà del Novecento.

Le tensioni razziali, i difficili rapporti tra le diverse comunità, il complesso funzionamento della giustizia in una terra in cui i linciaggi hanno rappresentato un fenomeno costante e terribile, tutto è raccontato attraverso gli occhi di una bambina, Jean Louise “Scout” Finch, figlia di Atticus.

Atticus è un avvocato nella piccola cittadina (fittizia) di Maycomb, che un giorno decide di accettare l’ingrato incarico di difendere in tribunale Tom Robinson, un afroamericano accusato di stupro da una donna bianca.

Nel corso del processo, Atticus riuscirà a dimostrare che le accuse erano infondate, e che la donna le aveva inventate per nascondere il suo tentativo di avances, che sapeva sarebbe stato ritenuto inaccettabile dalla comunità, ma l’uomo viene comunque condannato dalla giuria composta interamente di bianchi.

Durante i lunghi mesi del processo, la posizione della famiglia Finch all’interno della comunità diventa difficile, un tentativo di linciaggio ai danni di Robinson viene sventato solo dall’intervento provvidenziale della piccola Scout, ma l’uomo finirà comunque ucciso durante un tentativo di fuga dal carcere.

Il padre della donna che lo aveva accusato cercherà di uccidere Scout e il fratello, che saranno salvati solo dall’intervento di un vicino di casa affetto da problemi mentali, la cui realtà la bambina riuscirà finalmente a comprendere anziché temere. Si tratta insomma di un romanzo fondamentale per comprendere la storia e la società americana, non solo per quanto riguarda la relazione tra bianchi e neri, ma anche quella tra i sessi, il ruolo della donna e delle persone in qualche e modo “diverse” nella società.

L’assenza di libertà

Sono due libri molto distanti tra loro per stile, per linguaggio e per impostazione, ma sono accomunati in modo molto più profondo che dalla mera sorte di essere stati posti all’indice in modo simile. Entrambi ci raccontano infatti dei mondi caratterizzati da una totale assenza di libertà.

Nel futuro distopico di Atwood come nel passato storico di Lee, nessuno è libero. A Gilead gli uomini sono gli oppressori e le donne le oppresse, e nell’Alabama segregata i bianchi sono gli oppressori e i neri gli oppressi, ma nessuno è veramente libero, come dimostra la vicenda di Dolphus Raymond, un personaggio de “Il buio oltre la siepe”.

Raymond è un uomo bianco che per poter vivere la sua relazione con una donna di colore è costretto a fingersi alcolizzato, dato che l’unico modo per far tollerare la sua Lola dalla comunità è quella di passare per un deviato, per un uomo palesemente al di fuori della decenza e della società.

Nei mondi in cui ci portano questi due libri nessuno è insomma libero di vivere la propria vita, di amare chi vuole e di essere ciò che è. Sono quindi due libri che possiamo con buona certezza dire sia auspicabile leggere, perché possono rappresentare un importante specchio in cui osservare ciò che di pericoloso è stato o potrebbe essere. E invece oggi è quasi impossibile trovarli nei licei americani —perché si parla di scuole superiori, non solo di elementari.

Malumori nel Gop

Certo, si potrebbe dire che questi mondi ci sembrano lontani, ma ciò che spaventa davvero dell’ondata censoria che si sta abbattendo sull’America è che nessuno dei legislatori, di ogni colore politico, sembri rendersi conto che ogni libro proibito ci avvicina d’un piccolo passo in più a realtà di quel tipo.

Per carità, è comprensibile che in un clima ideologicamente sempre più esasperato nessuno voglia essere il primo ad alzare il piede dall’acceleratore, ma resta vitale domandarsi quanto manchi prima di un possibile schianto.

Molti in America se lo stanno domandando, anche tra le fila del Partito Repubblicano, che ha sempre avuto una componente libertaria importante, e che oggi pare invece avviato convintamente in questa corsa al rialzo dello scontro ideologico con dei Democratici dal canto loro sempre più tendenti al wokismo.

Eppure per molti abbassarsi a giocare sullo stesso terreno della censura non può essere una strada accettabile, come per Thomas Peterffy, fondatore di Interactive Brokers e storico grande finanziatore del Gop. Peterfly ha recentemente dichiarato al Financial Times di essersi “messo in una posizione di attesa”, per via delle posizioni di DeSantis e di quella che ha definito “la messa al bando dei libri”. “Io e un gruppo di amici abbiamo deciso di chiudere i rubinetti al momento”: queste le sue parole, che esprimono un chiaro e netto malcontento di fronte alla prospettiva di un partito che storicamente ha difeso le libertà personali e che oggi vara divieti di lettura.

Giochi finiti e infiniti

Un concetto chiave per capire quanto alta sia la posta in gioco in una situazione come questa, e come si possa forse sperare di fermare il meccanismo innescato, ci viene offerto da James Crane, storico e studioso di religioni, che ha delineato le categorie di “gioco finito” e “infinito”. Un gioco finito si gioca per vincere: ci sono vincitori e vinti chiari ed evidenti. Un gioco infinito si gioca per continuare a giocare: l’obiettivo è massimizzare la vittoria di tutti i partecipanti.

Una discussione è un gioco finito; un matrimonio è un gioco infinito. Le elezioni per il Congresso sono un gioco finito; la democrazia è un gioco infinito. E molte sofferenze inutili nel mondo derivano dal fatto che spesso si perda di vista o non si conosca la differenza. Un brutto litigio può distruggere un matrimonio; un’elezione contestata può destabilizzare una democrazia.

Il punto è quindi riuscire a capire che la politica non è solo scontro, come per Schmitt: vincere le elezioni è un gioco finito, ma governare è un gioco infinito, e se si governa pensando a colpire gli avversari ideologici più che a preservare la libertà, si rischia di perdere. E di far perdere tutti.

Perché se oggi ci sono migliaia di libri che sono banditi dalle scuole, alla fine perdono tutti. Nel breve periodo, i progressisti potranno essere contenti perché quel libro dove si usa il terribile shibboleth della parola “negro” a prescindere dal contesto è sparito; i conservatori lo saranno perché non vedono più negli scaffali le opere di Simone De Beauvoir pronte ad attentare alla famiglia tradizionale. Ma alla lunga tutti saranno più poveri. Alla lunga perdiamo tutti se giochiamo così.

La posta in gioco

Non so voi, per concludere riallacciandomi ai libri di cui abbiamo parlato, ma io personalmente auspicherei di non essere un oppresso. Allo stesso tempo, non mi va proprio a genio neppure l’idea di diventare un oppressore.

Ciò cui aspirerei, è la possibilità di vivere in una società che tuteli per quanto possibile la libertà, in cui sia relativamente possibile esprimere ciò che si è senza temere rappresaglie violenta, in cui magari il governo non cominci oggi a decidere quali libri possano o non possano essere letti, a prescindere dal colore del governo.

Assistere a un’escalation di censura nella più grande democrazia del mondo dovrebbe destare quantomeno preoccupazione in tutti coloro che ritengono la libertà un valore da tutelare, senza badare “a chi ha cominciato”.

Non importa se i gruppi liberal hanno iniziato a censurare i libri in nome del politicamente corretto: se la risposta dello schieramento conservatore è mettersi a censurare a propria volta in una gara a chi proibisce di più, è una risposta che può solo peggiorare il problema.

La libertà non è mai per sempre, questo ci insegnano i libri di cui abbiamo parlato, non va mai data per scontata, e bisogna sempre fare molta attenzione se qualcuno cerca di portarcene via un pezzettino, anche se si tratta di togliere dalle biblioteche quel libro che a noi non è piaciuto o che ci è sembrato eccessivo o anche sbagliato nella sua filosofia.

Perché una volta lasciato andare, quel pezzettino di libertà potrebbe non tornare più, e potrebbe non essere l’ultimo che perderemo, anche se magari oggi ci sembra di esserne addirittura contenti.

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