Erdogan riempie il vuoto lasciato dall’Italia (e dall’Ue) nel caos libico e azzera le nostre opzioni

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La Libia è nel caos e non è una novità. Dal 2011, dall’inizio dell’offensiva occidentale contro Gheddafi voluta dall’allora presidente francese Sarkozy, ad oggi la situazione sul campo è sempre stata instabile e in progressivo deterioramento. È successo di tutto: decine e decine di milizie, tribù che si combattono per il predominio, comparsa dello Stato islamico a pochi chilometri dalle nostre coste ed incapacità della comunità internazionale nel trovare una soluzione politica che possa prevalere sull’opzione militare.

I due protagonisti della crisi, il generale Haftar ed il primo ministro del governo riconosciuto dall’Onu, al Serraj, non hanno mai lavorato seriamente per una soluzione politica ed hanno sempre preferito sfidarsi sul piano militare.

Dalla situazione attuale sembrerebbe che Haftar si trovi ad un passo dalla vittoria. Le sue truppe hanno oramai raggiunto Tripoli e potrebbe essere vicino il momento dell’assalto finale. Il generale della Cirenaica ha beneficiato in questi mesi non solo del sostegno di Russia e Francia, ma di quello ben più sostanziale di Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Questi ultimi hanno inviato armi e fornito supporto aereo alle sue truppe.

Al Serraj, di contro, ha richiesto un disperato ausilio a Stati Uniti, Regno Unito e Italia. A differenza dei primi due, Roma ha agito – poco – sul piano politico e diplomatico e quasi nulla su quello militare. L’Italia, oltre ad un vago supporto logistico alle milizie di Misurata non è andata. Allora al Serraj si è rivolto al presidente turco Erdogan, il quale non ha perso l’occasione per allargare la sua sfera d’influenza e rinvigorire il sogno neo-ottomano. Il sultano, con la sponda qatariota, ha iniziato il sostegno alle milizie islamiste vicine alla Fratellanza musulmana.

Il 2 gennaio ha chiesto e ottenuto dal Parlamento di Ankara l’autorizzazione a inviare truppe turche sul suolo libico; per ora, le prime giunte, sono le milizie siriane filo-turche già usate da Erdogan per le operazioni nel nord della Siria.

L’Italia non si è mai schierata in modo inequivoco, ma ha sempre manifestato il suo supporto ad al Serraj, pur non chiudendo la porta ad Haftar. La situazione ora però è drasticamente peggiorata. Le truppe del LNA stanno assediando Sirte e la città sembra pronta a cadere.

Una vittoria di Haftar potrebbe portare ad un aumento dell’influenza della Francia e della Russia sulla nostra ex colonia ed una conseguente marginalizzazione dell’Eni da questo vitale scenario.

Ma è ormai troppo tardi anche per l’opzione di intervenire al fianco di al Serraj. Erdogan ha riempito quel vuoto ed allinearci ora sarebbe complicato anche pensando al ruolo che sta giocando Ankara nella questione Eastmed.

La nostra inazione e pavidità ci hanno spinto in un vicolo quasi cieco. Le opzioni rimaste sono pochissime. Oltre a cercare di arrestare l’offensiva di Haftar su Tripoli, è necessaria una mediazione con gli Stati del Golfo, Egitto e Russia per cercare una soluzione diplomatica e convergere su un terzo nome “laico”, non dipendente dalla Fratellanza musulmana e in grado di tutelare i nostri interessi strategici nella regione. Questo ci consentirebbe di arginare l’espansionismo francese e impedire ogni radicamento turco in Libia, che avrebbe anche pesanti ripercussioni sul dossier dei giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale.

Ovviamente è da respingere al mittente ogni ipotesi, già avanzata dalle nostre forze di governo, di missione europea sulla crisi libica. Significherebbe consegnarsi definitivamente nelle mani francesi. Se il Governo c’è, batta un colpo!

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