Falcone e Borsellino: commemorati da morti quanto ostracizzati da vivi

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Il 19 luglio scorso ricorreva il 27mo anniversario della strage di Via D’Amelio, in cui incontrarono tragicamente la morte il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. L’Italia ricorda ogni anno, attraverso iniziative importanti e cerimonie solenni, che coinvolgono le massime autorità dello Stato, la drammatica fine di questo autentico eroe antimafia. La stessa cosa accade per Giovanni Falcone. È sacrosanto che sia così, e non potrebbe essere altrimenti. Tuttavia, attorno alle celebrazioni e alla trasformazione, doverosa, di Falcone e Borsellino in icone, non si smette mai di avvertire quell’ipocrisia all’italiana che ha tanti padri. Dopo Capaci e Via D’Amelio, nessuno ha mai più avuto il coraggio di mettere in discussione, anche in maniera soft, le figure di questi due giudici, ma quando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si trovavano ancora su questa terra, non venivano affatto trattati come simboli indiscutibili del bene. Attacchi personali veri e propri, e numerosi ostacoli al loro lavoro quotidiano, giungevano da più parti. Dallo Stato e dal sistema di potere dell’epoca, il pentapartito, non arrivava l’aiuto sufficiente per l’enorme mole di lavoro creata dai due magistrati. Un’ulteriore conferma di questo si è avuta proprio qualche giorno prima del 27mo anniversario di Via D’Amelio.

Sono state rese pubbliche tutte le audizioni presso la commissione Antimafia, dagli anni sessanta sino al 2001. Quindi è divenuta di dominio pubblico anche un’audizione di Paolo Borsellino del 1984. Già allora il magistrato lamentava una carenza di personale e mezzi, che limitava enormemente il suo lavoro. L’auto blindata e la scorta erano disponibili solo al mattino, e al pomeriggio il giudice doveva recarsi in ufficio con la propria autovettura, con tutti i rischi ormai immaginabili. È pur vero che la mafia riuscì ad eliminare Falcone e Borsellino nonostante le auto blindate e le rispettive scorte, ma quelle gravi lacune segnalate già molti anni prima di Capaci e Via D’Amelio, la dicono lunga sulla serietà di un Paese che impegna spesso personale delle forze dell’ordine per soggetti non realmente in pericolo, ma non protegge a dovere chi ha già di fatto una condanna a morte. La memoria storica sarà pure diventata una merce sempre più rara, ma non possiamo dimenticare le opinioni poco lusinghiere che i professionisti dell’antimafia schierati perlopiù a sinistra (politici, magistrati e giornalisti), avevano in merito a questi veri martiri della lotta alla mafia. Chi si intestava la guerra alla criminalità organizzata e voleva far credere di essere l’unico eroe in campo contro i boss, e ci viene in mente un certo Leoluca Orlando Cascio, accusava pubblicamente di protagonismo eccessivo Giovanni Falcone. Il magistrato rispondeva a queste insolenze, rifiutando l’uso perverso della giustizia a fini politici. Questo rifiuto era assai profetico, visto tutto quello che è successo dopo, fra Tangentopoli, Seconda Repubblica e accuse di mafia, spesso infondate, scagliate su personaggi della politica, a cominciare da Giulio Andreotti.

Falcone e Borsellino, da vivi, non risultavano granché simpatici ad una certa parte anche perché, molto probabilmente, non erano semplici da inquadrare nel noto schema giustizialista di sinistra, a differenza di altre toghe di questo Paese. Il primo era amico di Claudio Martelli, mentre il secondo proveniva addirittura da una militanza giovanile presso le organizzazioni universitarie missine. Oggi tutti si genuflettono nell’onorare la memoria dei due giudici assassinati da Cosa Nostra, ma pare di assistere alle stesse ipocrisie in occasione della commemorazione della Shoah. Una parte, sempre la stessa, sempre quella degli Orlando Cascio e dei Saviano, versa lacrime ogni anno per gli ebrei morti, vittime del nazismo, ma non si commuove più di tanto per il popolo giudaico ancora vivo, che risiede in Europa ed è oggetto di frequenti intimidazioni antisemite, oppure vive in Israele e viene ucciso dal terrorismo palestinese. Forse Falcone e Borsellino non saprebbero che farsene delle corone di alloro e delle commemorazioni ipocrite, ma preferirebbero invece il ristabilimento di qualche verità in più. 

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