Forza e stabilità apparenti: i limiti delle politiche neo-maoiste di Xi Jinping

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Nonostante l’apparente condizione di forza e stabilità, anche la Cina ha problemi di grande portata che la dirigenza comunista cerca di affrontare con il solito piglio decisionista. Mi limito in questa sede a citarne due tra i più importanti.

Il primo è legato alla politica del figlio unico, adottata dal Partito Comunista per arrestare una crescita demografica che sembrava inarrestabile. Ha avuto successo anche perché imposta con la forza, ma ora si manifestano delle conseguenze negative che, evidentemente, non erano state previste. In effetti la Repubblica Popolare sta per essere superata dall’India come nazione più popolosa del pianeta, anche se non è questo il nodo principale. Si sta infatti verificando un invecchiamento marcato della popolazione che causa apprensione per il futuro del sistema pensionistico. Fenomeno, del resto, ben conosciuto nei Paesi occidentali (Italia inclusa).

L’Accademia cinese delle scienze sociali ha pubblicato un rapporto secondo cui, se la situazione non cambia, il fondo pensioni dello Stato è destinato ad esaurirsi entro il 2035. Si prosciugheranno cioè le riserve che ora ammontano a 4.800 miliardi di yuan. Non solo: nel 2050 ogni lavoratore in attività dovrà mantenere un pensionato, ipotesi a dir poco preoccupante. Si tratta di scenari che europei e italiani conoscono benissimo (pur continuando a illudersi). Per quanto riguarda la Repubblica Popolare, tuttavia, la notizia giunge inattesa, giacché era difficile immaginare che un Paese con una popolazione così enorme dovesse soffrire per l’invecchiamento. Il Partito ora sta correndo ai ripari allentando la politica del figlio unico e incoraggiando le coppie a procreare. Ma le reazioni, almeno finora, non sono incoraggianti. I cittadini non sono entusiasti per ragioni ovvie. Si sono abituati a una maggiore capacità di spesa e i figli, purtroppo, costano (e pure parecchio). Né il partito possiede di questi tempi gli strumenti di convinzione e coercizione che aveva ai tempi dei padri fondatori.

Il secondo problema riguarda il noto divario tra città e campagne, le une avanzate e in crescita continua, le altre arretrate e in declino. Xi Jinping e il gruppo dirigente hanno quindi pensato di rispolverare Mao Zedong e la sua celeberrima “rivoluzione culturale” degli anni Sessanta del secolo scorso. Esiste il progetto di mandare qualcosa come 10 milioni di studenti nelle campagne per diffondere la civilizzazione e lo sviluppo tecnologico anche nei più sperduti paesini, che sono rimasti esclusi dal grande boom economico e finanziario che ha fatto la fortuna della RPC. E certamente l’attuale leader ha pensato a questa soluzione rammentando la sua stessa esperienza giovanile.

Figlio di un Principe Rosso caduto in disgrazia proprio durante la rivoluzione culturale, Xi fu inviato in campagna a lavorare manualmente e a diffondere il verbo di Mao, peraltro riconoscendo a posteriori che quell’esperienza gli fu utile.

I tempi però sono cambiati, e molto. La Lega della gioventù comunista ha chiarito che gli studenti partiranno su base volontaria. Ma occorre a questo punto porre una domanda: quanti partiranno realmente? I giovani cinesi sono ormai simili a quelli occidentali. Attaccati allo smartphone giorno e notte, appassionati di concerti di musica rock e pop, viziati perché, essendo per l’appunto quasi tutti figli unici, vivono nella bambagia delegando ai genitori la soluzione dei loro problemi. E non basta. Gli studenti cinesi che vengono in Italia sottolineano di solito la noia provata durante i corsi obbligatori di marxismo. Confessano di studiare a memoria le formule impartite dagli insegnanti, individuando la tensione tra la realtà concreta e una teoria che a quella realtà non corrisponde affatto.

Si può quindi dubitare dell’efficacia delle strategie neo-maoiste dei dirigenti di Pechino, se vogliono davvero metterle in pratica chiedendo l’adesione volontaria. Più probabile che riescano se verrà adottata una politica coercitiva, simile per l’appunto a quella messa in atto dai padri fondatori comunisti della Repubblica Popolare.

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