Gerusalemme capitale d’Israele: il coraggio della Romania, primo Paese Ue a seguire la storica decisione del presidente Trump

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Senza mancare di rispetto a nessuno, è inevitabile tuttavia sottolineare come il mondo sia sempre stato composto da poche e grandi potenze di dimensioni continentali, da nazioni meno estese, ma dotate di un’influenza almeno regionale e poi, da Paesi costretti ad accodarsi, giocoforza, a chi detiene una fetta o buona parte del potere globale, geopolitico ed economico. Gli accadimenti interni e le scelte internazionali delle nazioni che contano, fanno naturalmente più notizia rispetto a quanto succede nelle aree, per così dire, periferiche del pianeta, ma il coraggio di certi posizionamenti, che possono assumere un’importanza anche storica, giunge a volte da chi meno te l’aspetti. Un esempio in questo senso ci è stato fornito, giorni fa, dalla Romania, che ha deciso, primo ed unico Paese Ue, di riconoscere Gerusalemme come sola capitale dello Stato d’Israele e di trasferirvi la propria ambasciata da Tel Aviv.

La Romania si schiera dunque con la decisione storica di Donald Trump e di altri Paesi, come il Brasile di Bolsonaro, e sceglie, senza se e senza ma, di rafforzare quella solidarietà, che dovrebbe essere patrimonio di tutte le democrazie, nei confronti di Israele, presidio di libertà nel turbolento Medio Oriente. Tutto questo mentre il resto dell’Unione europea, soprattutto quella che conta, non solo si ostina a non seguire gli Stati Uniti nel riconoscimento della vera natura di Gerusalemme, ma balbetta ogni qual volta si tratta di difendere le esigenze di sicurezza e le ragioni dello Stato ebraico. Il Vecchio Continente preferisce dedicare il proprio tempo a mantenere in vita quegli accordi con l’Iran, riguardanti l’uso, ambiguo, dell’energia nucleare da parte di Teheran, stipulati a suo tempo da Barack Obama e poi messi in soffitta da Donald Trump a causa delle scarse garanzie offerte dal regime degli ayatollah.

La Romania si distingue positivamente e merita dunque un applauso, sebbene i suoi problemi interni abbiano in parte offuscato questa importante e coraggiosa mossa. La premier romena Viorica Dancila, intervenendo a Washington, all’American Israel Public Affairs Committee, (AIPAC), importante associazione americana pro-Israele, ha annunciato pubblicamente l’intenzione di Bucarest di trasferire la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Qualche ora dopo il presidente della Romania, Klaus Iohannis, ha però contestato la dichiarazione della premier, sostenendo, probabilmente a ragione, che le scelte di politica estera sono prerogativa del capo dello Stato. In sostanza, Iohannis ha smentito Dancila più nel metodo che nel merito e ciò significa che la volontà romena di seguire Trump circa Israele è comunque reale e sincera. La Romania, a livello istituzionale, ha un semi-presidenzialismo molto simile a quello francese, che, in quanto tale, può comportare la coabitazione fra un presidente di uno schieramento e un premier appartenente alla fazione alternativa. Oggi sta succedendo proprio questo, con il presidente Iohannis di centrodestra e la premier Dancila del Psd, i socialdemocratici di centrosinistra. Fra i due vi è una certa competizione e lo “stop and go” sul trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme deve essere letto in questo senso.

Purtroppo la Romania, fra tutti i Paesi ex-comunisti dell’Europa orientale, è stata quella che più ha faticato, ed ancora fatica per molti aspetti, a divenire una realtà stabile politicamente e sufficientemente prospera a livello economico. L’inizio, dopo la caduta e la morte del dittatore Nicolae Ceausescu, fu contrassegnato per troppi anni da uomini provenienti dal regime comunista, come Ion Iliescu, il primo presidente della Romania democratica. Salari bassissimi e scarso potere d’acquisto hanno costretto poi la maggioranza dei giovani romeni ad emigrare in varie parti del mondo. Si sono alternate diverse classi dirigenti, ma mai nessuno è riuscito a risolvere quelle problematiche divenute, con il tempo, croniche. La corruzione sistemica e una frammentazione politica persino peggiore di quella italiana hanno sempre tarpato le ali allo sviluppo di un Paese dotato invece di grandi potenzialità. Nonostante le numerose grane interne, bisogna tuttavia ammettere come a Bucarest, almeno sul fronte della difesa dei valori di libertà dell’Occidente, si respiri un’aria migliore rispetto a Parigi e Berlino.

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