Partito Democratico: la tregua finta prima delle scissioni

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Già in febbraio, su queste colonne, avevo preconizzato per il Partito Democratico il medesimo destino che colse il fu Popolo della Libertà. A più di due mesi dalle elezioni politiche, per i Democratici è venuto il momento del redde rationem, che si risolverà in una o più scissioni che metteranno definitivamente in discussione l’esistenza stessa di un soggetto politico ormai privo delle originarie vocazioni maggioritarie e degli afflati veltroniani. Settimane di consultazioni hanno consentito alle varie correnti di affilare i coltelli e di far venire a galla tutte le divisioni.

Renzi, che ha infarcito i listini parlamentari di fedelissimi, di fatto continua a comandare il partito dall’esterno, pur avendo ufficialmente rassegnato le dimissioni. E non ha arretrato di un millimetro dalla posizione presa un minuto dopo la chiusura delle urne: nessun sostegno parlamentare al Movimento 5 Stelle o al centrodestra. Una sorta di isolamento dorato, una trincea per difendere il 19 per cento del 4 marzo e sperare di sfruttare lo stallo per rilanciare il “brand”. Tuttavia, il partito ribolle. L’ala più “governista” era ansiosa di aprire il forno a sinistra in società con i grillini, ma la trattativa è stata stoppata da Renzi coll’abituale teatralità, ovvero in prima serata su Raiuno nel rassicurante salotto buono di Fabio Fazio.

Un’altra corrente, invece, guarda con interesse ad un possibile esecutivo istituzionale. In sostanza, si consuma il solito psicodramma dell’intellighenzia sfociato nell’ennesima Direzione-farsa e condito dal palesarsi di un sito web, senzadime.it, dove è comparsa una sorta di lista di proscrizione con i nomi dei parlamentari democratici favorevoli e contrari all’accordo con il Movimento 5 Stelle. È iniziata la notte dei lunghi coltelli virtuali. Un aspetto è certo: il Partito Democratico deve scegliere, una volta per tutte, se staccarsi dal proprio leader maximo e lasciare a lui la ditta, oppure provare a disintossicarsi in modo definitivo dal renzismo. L’ambizione, non del tutto lucida, dell’ex sindaco di Firenze è di guidare un polo moderato tra gli estremi di un centrodestra a trazione leghista e del Movimento 5 Stelle, magari attraendo i forzisti delusi dall’avanzata di Salvini. Una finta tregua in attesa della battaglia finale.

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