Risalgono i contagi ma Londra non si piega al “modello Draghi” e la stampa mainstream infierisce

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 13 marzo 2020

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Per il momento, dal governo Johnson solo inviti alla prudenza e alla terza dose, nessuna restrizione e Green Pass. Un affronto per il “Draghi fan club”, che gode di più a screditare Londra che Pechino

Nella conferenza stampa di mercoledì, il ministro della salute britannico, Sajid Javid, ha dispensato buoni consigli ma ha confermato una cosa: al momento il Regno Unito non ha intenzione di adottare il piano B nella lotta al Covid. Ieri i casi di positivi hanno superato i 52mila – a fronte di 115 vittime – e anche il premier, Boris Johnson, ha invitato tutti i più fragili a fare la cosiddetta “booster jab”, la terza dose di vaccino, per cercare di limitare ospedalizzazioni e decessi. Sono in molti nella comunità medico-scientifica britannica a perorare nuove restrizioni: per il momento, però, sia Chris Whitty, sia il dipartimento della salute hanno invitato alla prudenza nella socializzazione al chiuso, ad affidarsi ai vaccini e hanno affermato di avere acquistato due nuovi anti-virali per fare fronte al Covid in questo autunno e nel prossimo inverno.

Per il momento il governo Tory crede di avere la situazione sotto controllo. Naturalmente, la ripresa dei contagi ha rimesso all’indice Londra su tutta la stampa mainstream europea. Quasi che ci fosse un certo piacere nel vedere il ritorno alla libertà pre-Covid del Freedom Day dello scorso 21 luglio svanire al cospetto dei nuovi contagi. D’altronde, occorre rimarcare che altri Paesi europei – e per giunta membri dell’Unione europea – hanno eliminato tutte le restrizioni di recente: è il caso di Portogallo e Danimarca, che però non entrano nelle news con la costanza della Perfida Albione. E pazienza se rimarcare che il Paese che prima di tutti ha raggiunto un elevato numero di vaccinati è quello con il numero di casi più alti – mettendo così in crisi lo storytelling sui vaccini unico antidoto al lockdown: Johnson è colpevole di una serie di reati. In primis, ormai lo sappiamo, la Brexit. Poi, l’avere adottato delle politiche antitetiche a quelle del governo Draghi in materia di Covid: niente più restrizioni, niente Green Pass per lavorare, niente capienze limitate negli stadi e nei palazzetti sportivi. E si sa che il reato di “lesa draghità” in questo momento è peggio dell’uxoricidio in Italia. 

Non crediamo neppure che Draghi sia così affezionato al suo fan club, che gli procura più problemi che non altro. Difficile immaginare l’ex governatore della Bce andare in visibilio la mattina leggendo i giornali della triade CorRepStamp mentre sorseggia il cappuccino e legge le notizie della sua amata Roma. Ma tant’è.

Quello che preme, invece, rimarcare, è come anche lo stesso Draghi abbia indicato il successo delle sue politiche in opposizione a quelle di Londra mercoledì in aula. Forse una battuta al vetriolo per avere Johnson disertato il G20 virtuale sull’Afghanistan e mandato al suo posto la neo-titolare del Foreign Office, Liz Truss? Il presidente del Consiglio non manca mai di citare il Regno Unito in tutte le iniziative di politica internazionale, e in particolare sulla lotta al cambiamento climatico. La Brexit Britain ospiterà a Glasgow il Cop26 a novembre e l’Italia sarà co-partner dell’evento. Ma sa anche che presso la nostra intellighentsia (sic) uno sberleffo a Londra e a Johnson vale di più che un ceffone alla Cina. Splendori e, soprattutto, miserie dei beaux mondes nostrani. 

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