Tre errori dei governi italiani durante l’emergenza Covid: tempo di bilanci

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Il conflitto ucraino ha scalzato dai riflettori la pandemia e, per la prima volta, le ha attribuito il suo corretto peso mediatico. Le pagine dei giornali italiani (per non parlare di quelli stranieri) da ormai un mese sono colme di scenari, analisi e commenti sulla guerra in Europa. Lo spazio dedicato al Covid-19 è sempre più limitato, oppure destinato alle ultime pagine. Lo stato di emergenza scade il 31 marzo e il governo ha deciso di non rinnovarlo. L’ultimo decreto approvato dal Consiglio dei ministri prevede la fine delle restrizioni nei prossimi mesi. La road map di aperture definita dal governo Draghi e illustrata in conferenza stampa sembra anticipare una ritrovata normalità.

Giunti al termine di questa emergenza pandemica, o almeno dello stato di emergenza in Italia, è arrivato il momento di tirare le somme. Guardarsi allo specchio, riprendere le scelte dei nostri governi e provare ad interpretarle. Evidenziare gli errori commessi cercando, simultaneamente, di delineare un fil rouge che ci aiuti a collegarli.

Tre gli errori principali: una mancanza di trasparenza su dati scientifici e road map; la posticipazione dell’agognata normalità; l’eccessiva regolamentazione.

Anche nelle fasi meno acute della pandemia i governi Conte 2 e Draghi si sono lasciati trasportare da un eccessivo rigore, che li ha portati ad agire in modo scomposto e irrazionale. Invece, semmai, di giocare d’anticipo e fornire ai cittadini dettagliate linee guida per le eventuali chiusure, o di definire mano a mano un piano di riaperture, hanno preferito attendere gli eventi e reagire ad essi. Un atteggiamento che, insieme ai proclami roboanti dei ministri, spesso basati su premesse false, ha reso incomprensibile la maggior parte delle scelte. E la volatilità della situazione non può servire da attenuante.

Prendiamo l’esempio del Regno Unito. La scelta del governo britannico è stata tanto semplice quanto efficace: i cittadini, mentre rispettavano il piano pandemico principale, denominato con la lettera “A”, erano consapevoli dell’esistenza di un eventuale, ma non per questo meno preciso piano “B”, più restrittivo del primo.

A venir meno è stata la trasparenza: i governi non fornivano ai cittadini evidenze scientifiche tali da giustificare le drastiche restrizioni e, allo stesso tempo, senza prefissare obiettivi verificabili in termini sanitari ed epidemiologici. Il risultato è presto detto: chiusure senza senso decise nell’arco di pochi giorni, massima incertezza per interi settori economici, come ristoratori e operatori del turismo, alle prese con decreti e Dpcm, apertura delle scuole costantemente rimandata e ricorso sproporzionato alla didattica online.

Ritardare il ritorno alla normalità pre-Covid è stato una costante della gestione pandemica italiana. Il governo, da una parte prometteva imminenti riaperture e dall’altra continuava a predisporre restrizioni. Da un lato millantava le prodezze in campo sanitario, dall’altro stringeva le maglie della nostra libertà. Anche in questo caso, la distanza tra l’Italia e i principali Paesi europei è abissale. Mentre in Francia e Germania, e ancora prima nel Regno Unito, negli ultimi mesi si è deciso di eliminare le ultime restrizioni, in Italia è solo il primo maggio, oltre un mese, la data simbolo di una normalità vicina ai tempi pre-Covid. Malgrado i numeri confortanti delle terapie intensive e dei casi positivi giornalieri stiamo assistendo, purtroppo, ad un addio troppo lento alle restrizioni. Di fatto, mentre in Europa si è tornati ad una situazione di normalità, l’Italia l’unico Paese a restare condizionato dalla linea delle chiusure e della paura.

L’ultimo errore comprende entrambi i precedenti. La scelta di regolamentare, obbligare e proibire rappresenta l’essenza dell’approccio dei governi italiani all’emergenza sanitaria. Del tutto in contrapposizione con un approccio basato sulla scelta consapevole del cittadino, sulla persuasione dell’utilità dei vaccini e sulla libertà. Al contrario di proporre, accompagnare e convincere si è deciso per la scorciatoia di proibire, restringere e infine obbligare.

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