Con il voto del 4 marzo inizia la Repubblica post-ideologica

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Le elezioni del 4 marzo segnano, anche per l’Italia, l’entrata nell’era della cosiddetta “politica post-ideologica”, dominata dai paradigmi comunicativi di internet e ormai definitivamente slegata dalle concezioni di sinistra e di destra tipiche del secolo scorso. In attesa di avere i dati definitivi e di poter così procedere ad un’analisi più approfondita, è possibile comunque compiere alcuni riflessioni, utili per orientarsi in questa nuova fase repubblicana.

1) Matteo Renzi è al capolinea, il renzismo è finito. Lo era già dopo il referendum costituzionale, con buona pace di commentatori, analisti, illustri direttori che rilanciavano il mantra post-referendum: “Quel 40% di “sì” sono voti di Renzi”. No, non lo erano. A dire il vero, non erano neanche la metà. Dalla geografia della politica italiana spariscono, di fatto, le regioni rosse: e in un futuro molto prossimo assisteremo all’implosione del Partito Democratico, che inevitabilmente imploderà all’atto di decidere il sostegno ad un eventuale governo.

2) Silvio Berlusconi è al capolinea, il berlusconismo è finito, e non solo perché macchiato dal patto) del Nazareno. Berlusconi è stato l’homo videns della politica italiana: nel ’94 capì per primo che la televisione poteva essere fondamentale per l’affermazione elettorale. Ma ormai la televisione ha ceduto il passo a internet, dove Berlusconi non “buca” come sullo schermo. Non è un caso che abbiano vinto le due forze politiche (Movimento 5 stelle e Lega) che hanno saputo usare meglio il web e i social. Per la prima volta non è più l’ex Cavaliere a dare le carte.

3) Matteo Salvini è di fatto l’unico ad avere sconfitto Silvio Berlusconi in una competizione elettorale che assomigliava molto a delle primarie del centrodestra. La crescita della nuova Lega a trazione nazionale è impressionante e paradossalmente si è rivelata l’unico vero argine all’onda grillina. Gli equilibri nel centrodestra cambiano radicalmente a favore dell’area cosiddetta “sovranista”: infatti, oltre all’exploit leghista, Fratelli d’Italia può vantare un risultato che vale più del doppio dei consensi rispetto al 2013.

4) Si è parlato per anni di un’ipotetica “Lega del Sud”. Ora c’è, e si chiama Movimento 5 Stelle. Cappotto in Sardegna e Sicilia, affermazioni bulgare in Campania e Puglia. L’Italia è spaccata in due: si colora di blu sino al Lazio, il sud è giallo e a cinque stelle. Riappare timidamente nel dibattito una parola tanto bistrattata: federalismo. L’Italia è un Paese antropologicamente federale, e prima o poi dovrà indossare un abito istituzionale che rispecchi questa realtà.

5) Nel 2018 prendiamo finalmente atto di un’ovvietà: lo scudo crociato non vale quasi più nulla in termini elettorali. La confessione religiosa ha smesso da tempo di essere un fattore determinante per le scelte elettorali. Si registra, inoltre, un generale fallimento di liste improvvisate e “cespugli elettorali”, segno di un’ormai radicata insofferenza verso questo tipo di operazioni.

Tanti auguri al presidente Mattarella e all’Italia perché, di fatto, si presenta la peggiore combinazione possibile: un partito vincente, una coalizione vincente, l’impossibilità numerica di larghe intese. Un rebus di difficile soluzione.

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