Il martedì di Capaneo – Tra toghe di lotta e apparati faziosi, ecco perché ci tocca difendere Salvini

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A differenza di amici e colleghi che hanno le mie stesse idee e sensibilità politiche, sono disposto a rassegnarmi alle leggi più inique e che meno condivido se vengono prese da un governo eletto secondo le procedure democratiche, in una competizione politica aperta a tutti. Ovviamente, darò il mio voto a quanti vogliono cambiare quelle leggi ma questo è un altro paio di maniche. In un dialogo socratico, che contiene l’essenza stessa della saggezza occidentale, il Critone di Platone, le leggi dicono al vecchio filosofo che gli allievi vogliono indurre a fuggire dalla prigione e a sottrarsi alla pena capitale. “O pensi che possa sopravvivere, e non essere sovvertita, una città in cui le sentenze pronunciate non hanno efficacia, e possono essere invalidate e annullate da privati cittadini?”. Dura lex, sed lex dicevano i Romani. Se, in un sistema democratico, una legge vieta un certo comportamento e il cittadino ritiene il divieto lesivo della sua libertà e dignità può opporre all’autorità la disobbedienza civile ma, in tal caso, deve essere pronto a subirne le conseguenze, con una condanna penale, che peraltro potrebbe servire a risvegliare le coscienze e a indurre il legislatore a cambiare norme che non corrispondono più al comune sentire.

In ogni modo, in una società aperta, si richiedono la chiarezza, la definizione delle competenze, la fissazione dei limiti costituzionali al potere legislativo. Le leggi di Salvini sull’immigrazione possono non piacere, ledere diritti fondamentali degli individui, ma una volta promulgate col sigillo del presidente della Repubblica vanno rispettate da tutti, cittadini e magistrati.

Nel caso di Firenze e delle “zone rosse” – volte a tutelare la città dagli spacciatori e dalle loro azioni criminose – istituite dal prefetto Laura Lega, la domanda è: “Aveva l’autorità per farlo?”. Il Tar della Toscana che decide di accogliere il ricorso dell’Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori) contro il prefetto ha il potere di legare le mani all’alto funzionario dello Stato? I due giudici di Bologna e di Firenze, critici del Viminale, che hanno idee opposte al ministro sull’iscrizione all’anagrafe di cittadini stranieri ed emettono sentenze che, de facto e de jure, annullano le disposizioni di legge, fanno pensare a un “paese normale”, o alla Cina dei generali che si spartivano l’immenso territorio del Celeste Impero, rendendolo ingovernabile?

Ripeto, non entro nel merito della politica di Matteo Salvini e sono disposto ad ammettere, in via puramente ipotetica, che i suoi avversari abbiano ragione. Ma può un giudice far parte dell’Asgi (l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), che spara a zero contro il focoso ministro leghista e mostra piena solidarietà alla ong di Luca Casarini e al Prof. Emilio Santoro, noto per aver definito quello gialloverde “il governo della paura”? Certe cose si possono pensare (e semmai scrivere su riviste pubbliche ma di addetti ai lavori, adoperando un linguaggio distaccato e rispettoso), ma se si riveste un ruolo istituzionale ci si dovrebbe astenere da ogni manifestazione pubblica e da ogni kermesse massmediatica che dia il senso di un conflitto lacerante tra gli organi dello Stato. Rosaria Trizzino, presidente della seconda sezione del Tar toscano che ha bocciato le zone rosse, e Matilde Betti, presidente della prima sezione del tribunale civile di Bologna che a marzo non ha accolto il ricorso del Viminale contro l’iscrizione all’anagrafe di due cittadini stranieri (sono notizie che ricavo dall’articolo di Andrea Carugati, “Dossier del Viminale contro le toghe sgradite a Salvini“, La Stampa 6 giugno), non dovrebbero, almeno per una questione di buon gusto, astenersi dalla collaborazione alla rivista “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, un cannone puntato contro il governo gialloverde? Lungi da me l’idea di un ordine (non un potere) giudiziario al servizio del Ministero degli interni, come di un esercito degradato a guardia pretoriana del ministro della difesa, ma da qui a legittimare la guerra dichiarata degli apparati amministrativi ai governi in carica c’è un abisso.

“Siamo davanti a un ministro che pretende che i giudici si adeguino alle politiche del governo”, ha dichiarato l’ineffabile sindaco di Firenze Dario Nardella. Già ma che significa? Che i giudici possono rendere irrite e nulle le leggi che, a loro avviso, violano sacri principi costituzionali? E a stabilire tale violazione, debbono essere i tribunali amministrativi o la Suprema Corte (e prima ancora l’inquilino del Quirinale che può non apporre la sua firma se avverte fumus di incostituzionalità)? Un gigante della politica italiana, il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, ha dichiarato che “il dossieraggio voluto da Salvini rimanda a uno scenario putiniano, dove ai giudici è richiesto di adeguarsi ai voleri del governo”. A suo avviso, sembra di capire, i giudici dovrebbero avere la libertà di scendere in piazza per manifestare contro la chiusura dei porti agli scafisti mediterranei e di portare a Papa Bergoglio la loro solidarietà in tema di accoglienza totale e senza riserve.

Filippo Miraglia, presidente dell’Arci (Associazione Ricreativa e Culturale Italiana, fondata a Firenze nel 1957) è stato non meno drastico di Della Vedova, parlando, sempre a proposito di Salvini e della sua insofferenza nei confronti delle toghe nemiche, di “macchina del fango”. Si è trattato per lui di “atto scellerato di chi adotta metodi eversivi occupando una carica istituzionale rilevante per la sicurezza del paese”. A questo punto antifascismo per antifascismo – l’ARCI è nata per tener viva la memoria della Resistenza e per difendere i diritti sanciti dalla Costituzione repubblicana – si poteva anche chiedere il parere del presidente dell’Anpi, che avrebbe (forse) lodato i bravi ragazzi della scuola palermitana che assimilavano i decreti di Salvini alle leggi razziali. Temo che la profonda crisi morale, sociale e politica attraversata dall’Italia in questi anni si stia traducendo in farsa, ma in farsa tragica. Nessun rispetto per le istituzioni e per coloro che le rappresentano, delegittimazione totale delle autorità statali che fanno politiche che non ci garbano, libertà di non rispettare le leggi ritenute incompatibili con lo spirito della Costituzione antifascista.

Un luminare del diritto, in uno degli articoli a pioggia che ci propina giornalmente, lanciava il suo vibrante j’accuse a Salvini che spesso ripete: “Contesto che se un giudice fa un dibattito a favore dell’immigrazione e poi il giorno dopo emette una sentenza su un immigrato, allora però non fai il giudice, ti candidi alle elezioni, vai in Parlamento e cambi le leggi”. Non credo che Salvini (di cui non sono elettore) abbia mai letto il Critone ma le sue ultime parole – “ti candidi alle elezioni, vai in Parlamento e cambi le leggi” – sono poi tanto diverse da quelle che obietta Socrate ai discepoli che lo invitavano alla disobbedienza e alla fuga?

“La patria – si legge nel dialogo – è più preziosa sia della madre che del padre e di tutti gli antenati, e più sacra, e più venerabile, più degna di considerazione da parte degli dèi e degli uomini assennati; e (…) le si deve obbedire e servirla anche nelle sue ire, più che un padre; e (…) l’alternativa è fra persuaderla o eseguire i suoi ordini”. Appunto: persuaderla! Ovvero indurla a cambiare leggi inique in nome del demos che ha dato la maggioranza dei suoi voti a quanti hanno intenzione di farlo nelle forme stabilite dalla Costituzione, in virtù di un preciso mandato di governo. Sempre in un paese normale, i macchinisti non rallentano, né tanto meno bloccano, la corsa del treno perché non ne condividono il percorso. Se i critici di Salvini fossero d’accordo con me nel ritenere aberrante la facoltà concessa a quanti svolgono funzioni pubbliche (a scuola, in caserma, in ospedale, in tribunale etc.) di non applicare le leggi (ritenute) ingiuste, chiederei loro scusa per il sospetto che a infuocare i loro animi sia stato non il senso del diritto, ma la faziosità ideologica.

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