Auguri, Duvall: 90 anni da “impresentabile”

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Oggi, 5 gennaio 2021, il grande Robert Duvall spegne 90 candeline e raggiunge il mito di nome Clint Eastwood nel gotha degli attori-registi americani quasi centenari, ma soprattutto amati, pluri-premiati, e per gran parte della loro vita almeno, orgogliosamente repubblicani.

Entrambi uomini di una volta, tutti d’un pezzo, dai lineamenti duri e dalla tempra morale ancor più solida, valorosi alfieri del pensiero controcorrente e fustigatori del politicamente corretto, nascondono abilmente, sotto la loro scorza ruvida, un cuore grande e quei sani valori di una volta che siamo già costretti a dover rimpiangere.

Merce rara insomma, in un paese che sta voltando le spalle a tutto ciò che è “vecchio”, ritenuto sinonimo di “ignoranza”, “ingiustizia” e “oscurantismo”, sacrificando persone e simboli sull’altare del moralismo più bieco e irrispettoso della storia e delle tradizioni. Basta Duvall! Abbasso Eastwood! Tiriamoli giù dai loro piedistalli come le statue dei vecchi eroi falsi e bugiardi! È giunta l’ora dell’uomo nuovo liberal plasmato dall’ideologia marxista, modello a cui tutti, consapevolmente o meno, ci dovremo prima o poi uniformare, pena l’ostracizzazione morale, sociale e professionale. Figurarsi poi dalle parti di Hollywood dove, per accedere al club, è sempre stato indispensabile il marchio di fabbrica radical-dem.

Ma proprio in quanto merce rara, questi esponenti della vecchia guardia diventano per noi sempre più preziosi. Dobbiamo goderceli fin che siamo in tempo, come fossero i nostri nonni, nella speranza che il buon Dio li richiami a sé il più tardi possibile dato che qui ne abbiamo ancora un disperato bisogno.

E in effetti sono molte le similitudini fra i due divi, al di là dell’aspetto professionale. Nascono entrambi in California, da sempre roccaforte democratica e progressista, da famiglie di origine europea. I loro rispettivi antenati abbandonarono l’Europa alla ricerca della libertà: un lontano parente di Duvall per scampare alle persecuzioni religiose contro gli Ugonotti francesi, mentre William Bradford, da cui discende Eastwood, fu passeggero della Mayflower, una celebre nave su cui si imbarcarono i padri pellegrini inglesi per via degli aspri conflitti religiosi verificatisi in patria. Bradford divenne in seguito anche governatore della colonia di Plymouth, in Massachusetts.

Dal sudismo a Trump

Duvall, in particolare, vanta fra i suoi legami famigliari altre due figure illustri della storia americana: sembra infatti che George Washington adottò una sua ava, mentre la madre dell’attore, Mildred Virginia Hart, è discendente del leggendario generale sudista Robert Edward Lee, che lo stesso Duvall ha interpretato magistralmente nel film Gods and Generals (Robert Maxwell, 2003), prequel di Gettysburg (Robert Maxwell, 1993). E proprio a testimonianza della personalità fuori dagli schemi di Duvall, ecco cosa dichiarò l’attore a proposito di quel ruolo in un’intervista di 18 anni fa: “Sono legato alla figura di Lee, ma come diceva sempre mia madre, penso che tutti lo siano. Per simulare l’accento virginiano mi è bastato parlare come mio padre, senza nemmeno pensarci troppo. Ce l’abbiamo nel sangue. È stato un onore interpretare Lee, un grande generale”.

E a domanda che gli chiedeva conto di presunti parallelismi tra la guerra civile Usa e l’imminente guerra in Iraq del 2003 rispose: “Vedo delle somiglianze in effetti, perché l’11 settembre noi siamo stati invasi. Migliaia di persone morirono il primo giorno della guerra che cominciò proprio qui, a New York. L’unica altra volta nella storia in cui siamo stati invasi è stata quando le truppe nordiste hanno invaso il Sud. Quando qualcuno attacca il tuo paese qualcosa deve pur essere fatto”. Al netto dell’accostamento storico più o meno corretto, è evidente che posizioni del genere, già coraggiose per l’epoca, siano diventate totalmente “impresentabili” agli occhi dell’americano moderno che vede nel generale Lee un mero simbolo di razzismo e nelle guerre dei soli repubblicani, l’espressione più truce dell’imperialismo capitalista.

Un altro aspetto comune a entrambi è la loro collocazione nell’area libertaria e conservatrice della destra americana. I due premi Oscar non ne hanno mai fatto mistero mostrando a più riprese il loro sostegno intellettuale e financo economico nei confronti di diversi presidenti e candidati alla presidenza del partito repubblicano fra cui Ronald Reagan, George W. Bush, John McCain, Mitt Romney e Donald Trump. Ma sia l’uno che l’altro, non hanno invero risparmiato severe critiche al GOP, soprattutto negli ultimi anni. Atteggiamento del tutto in linea con le loro personalità poco inclini ai compromessi.

Ultimi cowboy

Certo, i tempi erano diversi e sia Duvall che Eastwood hanno potuto esporsi politicamente in modo così plateale forti del loro talento fuori dal comune e della loro carriera ormai ben avviata. Oggi sarebbe molto più difficile ottenere il successo e il favore della critica senza uniformarsi al pensiero culturalmente dominante. E quand’anche vi fosse il talento, mancherebbe probabilmente il coraggio.

Ecco un altro motivo per cui questi due grandiosi esemplari di uomini in via di estinzione vanno ammirati e tutelati. Perché finché saranno al mondo ci sentiremo meno soli. Perché rappresentano i nostri ultimi monumenti viventi che nessuno può rimuovere o abbattere. Perché senza di loro e le belle storie che ci fanno vivere, quanti artisti oseranno opporsi all’ineluttabile parlandoci ancora di libertà? Di fronte ai loro sguardi, profondi, come quelli dei personaggi che hanno interpretato, tutto il resto si fa piccolo piccolo. È negli occhi di Mac Sledge in Tender Mercies o in quelli di Walt Kowalski in Gran Torino che si può ancora trovare tutto ciò che il mondo sta rinnegando.

“Anche quando ho fatto un grande film, l’unica cosa che mi stava a cuore era fare di quel personaggio un uomo vero”, ha spiegato Duvall.

Un uomo vero. Proprio come lui. Proprio come Eastwood. Gli ultimi cowboy che ancora non mollano e che noi vogliamo continuare disperatamente a vedere in sella.

Nicolò Petrali, 5 gennaio 2021

 

 

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