Biden: banale e senza contenuti

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A Joe Biden c’è voluta forse una vita per preparare il discorso di accettazione della nomination, unico politico che per la prima volta nella storia degli Stati Uniti può vantarsi di essere riuscito a riunire le idee della sinistra radicale – tanto da farne il suo candidato vicepresidente – ed il supporto ideologico dei trillionaires. Un discorso molto noioso: e non è solo per il contenuto ma per come il ben educato politico Biden è stato incapace di rivestire di emozioni e leadership, che è quello che si chiede ad un supposto leader che si propone di guidare gli Stati Uniti. Ed è già qui che si capisce il reale enjeux: è Kamala Harris il protagonista oggi e domani se Biden sarà eletto.

Non c’è contatto visivo, nessuna spontaneità, comprensibilmente compressa dalla necessaria – solo sua – attenzione nel seguire il suggeritore del testo che gli scorre davanti. Dunque Biden è più attento a non sbagliare come gli succede spesso che a coinvolgere: il risultato è una profonda sensazione di innaturale e falso: deep fake. Ma la sensazione diventa concretezza ascoltando Michael Bloomberg che si riserva cinque minuti di assolo in favore del candidato e che ovviamente è coinvolgente o quantomeno umano e credibile, anche se non condividi quel che dice.

Nella sua prevedibile dialettica assemblata meccanicamente con parti di ben educata retorica Dem, Biden accusa senza mai nominarlo Trump di ogni male ma  scivola lui in quel peccato di profondo risentimento divisivo di cui ripetutamente lo accusa per quasi trenta minuti. Ormai il peccato è divenuto veniale tanto è diffuso ovunque nei discorsi dei “decent” progressisti quando – così educatamente – inveiscono contro chi ha idee non conformi. Un po’ predicatore e un po’ messianico, Slow Joe Biden invita a seguirlo abbracciando il “suo, democratico” cammino della speranza e della luce rifiutando quello “della oscurità” Trumpiana, invocando: “facciamo sì che un giorno sia la storia in grado di dirci che oggi, qui è iniziata la fine del periodo oscuro dell’America” .

Con immagini di caos e disordine un po’ dappertutto e dopo aver inevitabilmente ricordato Obama come esempio al quale possono guardare piccini e grandi, si arriva alla parte più ampia del discorso, il Covid19 e le responsabilità di Trump. È solo colpa di Trump se le aziende falliscono, i negozi chiudono, i disoccupati si contano a milioni, la gente muore e nel frattempo i ricchi diventano più ricchi e a codesti ricchi – che sono i suoi più infervorati sostenitori – Trump ha anche tagliato le tasse. Non ci si aspettava un contenuto troppo politico ma semplicemente emotivo, di visione o leadership per capire, asseverare la propria opinione sul possibile futuro Presidente degli Stati Uniti. Dal discorso di giovedì e dalla massa di banalità, non è possibile comprendere nulla, se non quello che già si sapeva o si intuiva e che il vero protagonista non era Joe Biden sul palco a leggere il teleprompter ma Kamala Harris che lo affiancherà come vice nel caso di sconfitta di Trump.

La Harris è il vero elemento di rottura politica – vera o semplicemente rappresentata – non Biden che è continuità progressista di potere. Harris non condivide in realtà nessuna delle difficoltà nel riuscire nella vita che Biden elenca e che dovrebbero fare di lei un riferimento per le minoranze e i più deboli.

Ma la mise en scène è perfetta e tanto basta. E soprattutto Harris è giovane, non Wasp – o semplicemente non porta la colpa dell’esser bianca che pesa tanto ai dem e ai progressisti – ed è stato il potente capo della procura Californiana, un Attorney General di polso e idee profondamente radicate – e radicali – a sinistra. E forse questo è un motivo in più per augurarsi che Pres. Trump non perda.

Fabrizio Jorio Fili, 22 agosto 2020

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