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Brescello, dal Pci di Peppone al boss “educato”

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“Ecco il piccolo mondo di un mondo piccolo piantato in qualche parte dell’Italia del Nord la in quella fetta di terra grassa e piatta che sta tra il fiume e il monte, tra il Po e l’Appennino: nebbia densa e gelata lo opprime d’inverno, l’estate un sole spietato picchia martellate furibonde sui cervelli della gente e qui tutto si esaspera, qui le passioni politiche esplodono violente e la lotta è dura ma gli uomini rimangono sempre uomini e qui accadono cose che non possono accadere da nessuna altra parte.” Chi non riconosce le parole di Guareschi nel primo Peppone e don Camillo ambientato a Brescello, piccolo comune emiliano che da quel momento è diventato l’emblema di una Italia tanto desiderata quanto mai esistita.

Brescello per gli italiani è il paese della politica dove, il comunista tutto d’un pezzo che di nascosto fa battezzare il figlio e il prete che parla con il crocifisso ma è sempre pronto a menare le mani, diventano l’archetipo di una Italia dove tutto si sfuma e tutto può convivere. Era l’Italia politicamente corretta prima che esistesse il politicamente corretto, comunisti in fondo buoni, cattolici imbelli ma condotti da un clero con le palle, e tutto il resto a fare da sfondo, le armi della guerra appena finita nascoste nei fienili, vescovi centristi e tolleranti, comizi in piazza, case del popolo, ma al dunque tutti pronti a darsi una mano.

Sono 75 anni che questa balla ci viene raccontata, ma basta fermarsi a mangiare un piatto di tagliatelle al ragù d’asino e l’ospitalità del luogo, la simpatia del vicino di tavolo e le elezioni vicine, aprono con semplicità un mondo sconosciuto, fatto di vecchio Pci inamovibile, nuovi imprenditori, mafia e politica in un mix difficile da immaginare per l’idilliaca fantasia di Guareschi. Brescello dal dopoguerra ad oggi è questo: dal 1945 al 1951 Pci, poi fino al 1970 Psi, con il Pci che ritorna sino al 1990, per proseguire fino 1999 come Pds e fino al 2009 come Ds, per finire dal 2016 come Pd. In quel momento improvvisamente si scopre che Brescello da almeno 15 anni è in odore di mafia e dal 2016 al 2018 il comune viene commissariato ma, come niente fosse, nel 2018 una lista civica di centrosinistra riprende in mano il comune grazie ad una giovane donna, Elena Benassi, già presidente della fondazione Don Camillo e Peppone, che vince alla testa di una lista infarcita di nomi vicini all’ex sindaco commissariato Marcello Coffrini.

Il Coffrini è figlio di un precedente sindaco che nei suoi tre mandati consecutivi sintetizza tutto il travaglio della sinistra (prima elezione Pci, seconda Pds, terza Ds), ed è lo stesso genio che, intervistato a proposito del Boss mafioso – ’ndranghetista da tempo residente nella zona, non ha saputo fare di meglio che definirlo “molto composto ed educato”.  Insomma un paese di quasi 6mila anime, che deve la sua notorietà e due personaggi di fantasia e che senza alcuna fantasia si fa governare ininterrottamente dal Pci e dai suoi eredi, si è scoperto mafioso, anzi il solo comune sciolto per mafia in Emilia, e con gli eredi del Pci che come in Gomorra oggi sembrano dire “mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost’”.

Nel racconto che mi è stato fatto è questo quello che mi manda al manicomio, il Pci ha governato per 75 anni e non si è accorto che un boss della malavita ha infettato il territorio al punto da far chiamare “cutrello” un quartiere per la percentuale di abitanti provenienti dal comune calabrese e adesso, come niente fosse, pone al centro della campagna quella legalità che per anni aveva dimenticato. Ma a Brescello tutto funziona al contrario, chi viene commissariato è un sindaco Pd, figlio di sindaco Pci, capace anche di essere condannato per diffamazione aggravata nei confronti di Catia Silva, ovvero la coraggiosa consigliera di opposizione, oggi candidata Sindaco per il centro destra, unica a denunciare che grazie agli ignari sindaci del Pci – Pds – Ds – Pd, la ‘ndrangheta prosperava nella zona e naturalmente per questo considerata una rompiscatole.

Il sindaco uscente Elena Benassi,  ex militante del Pd ma ormai in rotta, che parla di continuità e non ricandida nessuno dei consiglieri attuali, oggi è alle prese con il parking gate del sue vicesindaco, fenomeno che con la scusa di inserire due parcheggi per portatori di handicap, ha liberato lo spazio davanti al suo garage da parcheggi normali che lo disturbavano nella manovra, ma si sa il paese è piccolo la gente mormora. Infine il Pd con il suo candidato Carlo Fiumicino che, determinato come Veltroni, coraggioso come Letta e chiaro come la Schlein, cerca di affogare in un fiume di vuota retorica ogni problema o decisione, artista del “ma anche” nel dibattito tra i candidati aveva la consistenza della nebbia che nella bassa non manca.

La nebbia che il Pd utilizza per tentare di coprire il passato e presentarsi come il nuovo costringendo il deputato di FdI Gianluca Vinci a denunciare in una interrogazione parlamentare il tentativo di insabbiamento. In risposta il governo ha parlato di una indagine in corso ancora coperta da segreto, la risposta non ha rassicurato i cacicchi locali del Pd che speravano che la nottata fosse passata. In questi giorni di campagna elettorale avvelenata, la retorica dell’antimafia è spesa a piene mani da quelli che la mafia non l’hanno vista arrivare perchè la consideravano composta ed educata, la retorica del buon governo è spesa da quelli che hanno governato per 75 anni e oggi ci parlano dei problemi da risolvere, la retorica ambientalista è la bandiera di chi vuole bloccare ogni iniziativa imprenditoriale rivolta allo sviluppo ed all’occupazione.

A questo punto il mio vicino di tavolo era paonazzo, ragù d’asino vino e politica sono un mix difficile, “le faccio un esempio di questi giorni, a Brescello il paese che funziona al contrario, prima si decide di sviluppare una zona industriale in un territorio individuato in prossimità della strada e della ferrovia e poi si impedisce alle industrie di sviluppare i loro affari bloccando lo sviluppo di un centro intermodale necessario al territorio. Questo perché il sindaco uscente è contraria per principio, il candidato del Pd nel dibattito tra i candidati tenta la supercazzola “chiedo di attivare l’azione di partecipazione e chiamare la cittadinanza al confronto…”. E poi si dice comunque contrario, e l’unica favorevole è la coraggiosa candidata di centrodestra che, malgrado le minacce e le intimidazioni ricevute per anni, appoggia il progetto proprio a salvaguardia della legalità, dell’occupazione e per non perdere 100 milioni di investimenti che cambierebbero il volto di Brescello”. Purtroppo nel piccolo mondo di Brescello, al contrario di quello che diceva Guareschi, accadono le stesse cose che funestano da sempre l’Italia.

Antonio De Filippi, 12 maggio 2023

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