Politica

Carceri sovraffollate, sveglia: fate uscire chi è in attesa di giudizio

Un terzo dei detenuti non ha sentenza definitiva, in virtù della presunzione d’innocenza non dovrebbero essere in carcere

© Africa images e swalls tramite Canva.com

Per la stragrande maggioranza dei politici che fanno finta di interessarsi delle carceri, specie sotto le feste, il lavoro sarebbe la chiave di volta. Il lavoro in carcere non rende forse liberi, come quando c’era quell’altro, ma sicuramente occupa il tempo, fa arrivare qualche euro e prepara al futuro. Queste banalità sono offerte da parlamentari in carica e/o altre figuri apicali della Repubblica italiana, tipo il presidente del Cnel e sono figlie della totale mancanza di pensiero liberale nel nostro paese: il lavoro viene prima di qualsiasi altra cosa, prima della salute e della libertà.

Se in Italia il diritto alla salute nelle carceri fosse garantito molto probabilmente nel 2024 non avremmo registrato 89 suicidi nelle patrie galere – e tante altre nefandezze che ogni tanto emergono pubblicamente o che vengono raccontate a microfoni spenti.
Questo insistere sul lavoro in carcere come una delle possibili soluzioni cancella totalmente il problema dei problemi dell’amministrazione della giustizia (non solo in Italia naturalmente), in un mondo sempre meno violento, escludendo le zone di conflitto, dove anche in democrazia notoriamente più violente come gli Usa diminuiscono costantemente omicidi, e rapine, la stragrande maggioranza dell’attività legislativa si concentra sull’ampliamento delle maglie del diritto penale e sull’inasprimento delle pene.

Delitti e pene che, proprio perché di condotte criminali ce ne sono sempre meno, si concentrano su azioni che non causano vittime, tipo ballare in un bosco o fumare dell’erba (forse) psicoattiva, ricorrere alla maternità surrogata all’estero, fare ricerca su una blastociste prodotta in Italia o piantare un organismo geneticamente modificato.
Questi gius-lavoristi, con rispetto parlando, dovrebbero prima interrogarsi sul perché ci sono troppe persone in carcere e poi correre ai ripari. Va ripetuto fino alla nausea: un terzo dei detenuti non ha sentenza definitiva, in virtù della presunzione d’innocenza non dovrebbe quindi essere in carcere, certo si possono essere dei casi in cui le persone possono scappare, cancellare le prove o ripetere il reato, ma quante mai potranno essere tra quei 18mila? Basterebbe mandare ai domiciliari questi per tornare alla cosiddetta capienza regolamentare delle nostre carceri.

Va anche ricordato che un altro terzo (ma non è detto che non si tratti delle stesse persone) è in carcere per violazioni del testo unico sulle droghe incrociato con altre condotte criminali a esso connesse. Poi ci sono persone in carcere da una vita, pena non prevista dal nostro ordinamento per come comminata. Se tutto questo non si verificasse – tralascio le frescacce sull’invio alle comunità per “tossicodipendenti” (una terminologia da anni ’90) utili solo a giustificare la diversione di buona parte dei fondi dell’8×1000 agli amici degli amici, molto spesso preti di destra – e se si applicassero sistematicamente le cosiddette pene alternative, delle attuali 62mila ce ne resterebbero si e no 40mila.

Siccome non accade, e siccome né destra né sinistra hanno in loro un’oncia di liberalismo (anche se si contendono quella cagata di appellativo noto alla stampa come “garantismo”) quindi, per quanto vadano in chiesa la domenica non staranno dietro alla clemenza invocata dal Papa niente accadrà. Io confido che alla fine qualcuno che si assumerà le sua responsabilità, ma non al governo o in parlamento, lo si troverà e allora riderò.

Marco Perduca, 5 gennaio 2025

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