Caro Porro, abbandonano gli anziani con la scusa del Covid

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Caro Porro, a Roma c’è una villa…

C’è una villa a Roma, dove chi entra si perde. Tiene stretta tra le mani qualche foto, qualche immagine mentale, scintilla baluginante nella memoria offuscata, ma quando entra lì, l’arte di smarrirsi poco a poco, con dignità, riceve un’accelerata rapinosa, un tornado di rovina che svelle immagini, legami, affetti, e della coscienza scassinata rimane solo lo scheletro. Lì il vecchio bambino diventa un corpo e basta, un essere organico senza luce, come gli eresiarchi del sesto cerchio anche se loro, alla favola della Sanità pubblica ci hanno creduto.

In una di queste ville che si fregiano di santi nomi e fanno vanto di una pietà inesistente, ad oggi galleggia nella sua oscurità narcotica una signora persa in un utero di oblio dove quel che restava di lei si è diluito. Rimane un’essenza e un nome. Leonora . Del resto, sia per sedazione sia per depressione, tutto è preferibile per la vecchia signora a questa nebbia di latte, dove non un particolare rievochi un affetto, dove non c’è un nord un sud, solo smarrimento. Ebete? Forse ci fa comodo crederlo, forse Leonora preferisce l’oblio del sonno a una veglia lattiginosa dove tutto è confuso sbigottimento.

In questa villa ho accompagnato la figlia, dopo 5 giorni di silenzio, dal trasferimento dal Santo Spirito, dove Leonora era stata ricoverata per fratture e fibrillazione atriale. In quell’ospedale ancora le sue figlie, se pur bardate, potevano dirle chi era, e che era amata. Poi il risucchio verso il nulla della post acuzie, dove neppure a pazienti no Covid e con demenze severe si permette di conservare almeno un filo esile coi loro familiari, e, in cui si teme, si sospetta sia sedata per 80% del tempo. Leonora, che cinque giorni fa parlava, riconosceva, salutava, ora, al telefono accostato all’orecchio dall’infermiere, biascica parole incomprensibili. Dorme. Supportate da giuridici consulti siamo partite come cavalieri erranti per liberare una vecchia bimba innocente dal drago dell’abbandono, mah, ahimè, eravamo non Lancillotto ma Don Chisciotte e il mulino illusorio che ci ha respinte era la demenza interessata e intrallazzina d’un imbonitore da fiera di paese, che, agitando l’arma di un non identificato virus, ci ha fermato alle porte del palazzo. Nulla, neppure dieci minuti a settimana, neppure con certificato di acclarata negatività, nulla.

Dai tempi di Antigone, scrive Agamben, non si assisteva a morti senza funerali, a inermi abbandonati. Neppure nella Milano manzoniana si negava un sorso d’affetto, da parte dei Cappuccini, ai malati del Lazzaretto. In questa società infetta di un male che non si noma covid ma barbarie, demoniaca forza persuasa allo sterminio, dove non solo l’inconscio ma anche l’anima ci hanno rubato, la bella addormentata, chiusa nella sua stanza, isolata da tutti, aspetta un bacio delle sue figlie, che la risvegli alla vita. I minuti scorrono lenti come secoli nel suo carcere oscuro. Nessuna mano da stringere. Nessuno sguardo da ritrovare e da lasciare. Mentre l’inferno dei dementi trasmette dagli schermi, per gli automi in poltrona, l’ultimo outing di Gabriel Garko

E così sia.

Stefania Martani, 29 settembre 2020

 

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