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Caro Porro, ecco perché il caso dell’arbitro non è razzismo

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Caro dottor Porro,

mi chiamo Luca e sono un ex arbitro di calcio. Le scrivo questa lettera perché sono rimasto esterrefatto per l’episodio accaduto in Psg-BasaksehirNon mi interessa sfruttare questo spazio per fare una difesa della categoria ma vorrei condividere con lei il livello che ha raggiunto la liturgia del politicamente corretto.

Siamo al ‘16 minuto del primo tempo, e il quarto uomo ufficiale richiama l’attenzione dell’arbitro poiché dalla panchina del Basaksehir (squadra turca) c’è stata una veemente protesta che deve essere sanzionata con l’espulsione. Il quarto uomo è il romeno Sebastian Costantin Coltescu, l’arbitro è Ovidiu Hategan, anch’esso romeno. Il fatto che entrambi siano della medesima nazionalità non è un dettaglio.

Infatti Coltescu si rivolge al collega pronunciando la seguente frase in romeno: “Tipul acesta negru”, per indicare la persona da espellere. La traduzione sarebbe “quel ragazzo nero”. Apriti cielo. Il vice allenatore del Basaksehir inizia a gridare al “razzismo” scagliandosi contro Coltescu urlando: «Perché dici negro? Perché gli altri non li chiami bianchi?». Accuse che trovano la solidarietà dei giocatori, avversari compresi, e che dopo alcuni minuti di caos decidono di abbandonare il campo e interrompere quindi la partita.

Chiunque abbia fatto l’arbitro, anche a livelli minori ben lontani dalla Champions League, sa che in una fase particolarmente concitata in cui si devono prendere decisioni importanti come un’espulsione, vale la regola della “tempestività”. Poche parole, semplici e comprensibili affinché chi le riceve (in questo caso l’arbitro dal quarto uomo, nelle serie minori l’arbitro dall’assistente) non corra il rischio di mal interpretarle e prendere quindi decisioni sbagliate, come uno scambio di persona, espellere un calciatore al posto di un altro. Per questo la parola “nero” potrebbe essere qualsiasi cosa: “quello tatuato”, “quello alto”, “quello basso”, “quello pelato”, “quello cinese”.

È quindi ovvio che il collega Coltescu sia tutto tranne che razzista. Ha semplicemente scelto il parametro sbagliato ai tempi del regime politicamente corretto.

Ma quello che più deprime è la decisone della Uefa di aprire un’inchiesta sull’arbitro e il fatto che la reazione a questo episodio sia stata univoca, il solito coro, politicamente corretto appunto, che vede il razzismo ovunque anche dove non esiste. Gli arbitri vengono da sempre messi alla berlina, offesi, minacciati, picchiati e nonostante ciò svolgono la loro funzione di giudici senza troppi piagnistei, senza abbandonare i campi al primo insulto perché la passione che li porta ad arbitrare supera tutto.

E per questo episodio un uomo che ha speso gran parte della sua vita nel coltivare questa passione, viene rovinato per sempre. Una carriera fatta di sacrifici andata in fumo per una parola mal posta. Tutto in nome di quel regime chiamato “politicamente corretto”. Io sto con Coltescu, contro tutti.

Luca, 10 dicembre 2020

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