Caro Porro, sulle tende non sono d’accordo e ti spiego perché

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Tende studenti Università

Caro Porro,

il discorso che lei fa snocciolando i dati sul costo dell’università per il singolo contribuente è in principio valido per qualsiasi servizio offerto dallo Stato. Ma non dovrebbe stupire.

Si chiama stato sociale o welfare, il cui compito è proprio quello di ridurre le disuguaglianze e permettere a chi non ha mezzi adeguati di poter avere le stesse opportunità (di partenza, almeno) di chi li ha.

Il suo argomento, dunque, potrebbe benissimo applicarsi – mutatis mutandis – ad altri ambiti quali:

il lavoro (devo dunque sentirmi in colpa quando percepisco sostegni al reddito in caso di disoccupazione? Devo dunque sentirmi in colpa nel caso sia il destinatario di paracadute o tutele? Per inciso, si noti che alcune delle critiche mosse al Reddito di Cittadinanza si possono ritrovare esattamente uguali in articoli precedenti all’approvazione di tale misura ma in relazione al sussidio di disoccupazione classico (Naspi o simili): dobbiamo dunque smantellare completamente il welfare per permettere alle aziende nostrane di tornare ad essere competitive e “appetibili” per i potenziali candidati?)

la sanità (devo sentirmi in colpa di quanto costo ogni volta che faccio ricorso al medico o un esame?)

la scuola (devo sentirmi in colpa perché lo Stato mi dà un’istruzione – non solo finalizzata ad una professione – e mi fa diventare un cittadino? Non è nell’interesse della collettività?)

Che poi, caro Porro, mi permetta di aggiungere e concludere che il suo discorso sul “mercato ottimizzatore” sarebbe valido se tutti partissero dalle stesse condizioni o, equivalentemente, se avessero accesso alle stesse opportunità. Ovvero da quelle che, nella teoria economica, sono considerate – non a caso – assunzioni, ipotesi di lavoro, e soprattutto postulati, appositamente per semplificare la trattazione del topic.

Non fatti, dunque.

Ed infatti, statisticamente, quelle condizioni ideali non sono quasi mai date.

Ha mai provato a valutare le opportunità – statisticamente diverse, se proprio non vuole ammettere che siano migliori – di un laureato in una delle top università private italiane o di chi studia all’estero, rispetto a chi studia in un’università statale, proprio perché alla fine “comanda” il mercato?
E chi non ha i mezzi che fa, dunque?
Resta escluso e si attacca?
Come anche chi è malato e ha bisogno di cure ma non mezzi per accedervi, cosa fa in un sistema puramente di mercato?

E spesso, troppo spesso, il diverso accesso alle opportunità avviene ancora in base ai mezzi, ovvero per censo, non per merito.
È questo ciò di cui in ultima analisi parla la “protesta delle tende“, questo è il messaggio che vuole trasmettere.
E argomenti sulla distanza limitata da casa o di essere figli di papà o di una generazione che non conosce la miseria sono risposte che, oltre a mostrare una certa dose di paternalismo, non entrano nel merito (anche perché, vogliamo forse dire ai ragazzi che devono necessariamente tornare ad un passato in cui si stava peggio, e fare come se i miglioramenti economici, sociali o anche i diritti conquistati fossero non validi? Ma che discorso è, spingere per una involuzione della Storia?)

Il discorso che lei fa, dunque, a me sembra fallace nelle basi. Sarebbe tempo a mio avviso di abbandonare un certo approccio ideologico, poiché mi pare solo un inutile  (nel senso di non utile alla discussione in oggetto, quando non addirittura dannoso per la coesione sociale) classismo.

Cdt,
DM

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