Che ridere la sinistra che rivaluta Bossi e Berlusconi

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È l’operazione surreale della sinistra: se il presente è Matteo Salvini al 30%, è legittimo rimpiangere il passato, con la Lega confinata in Veneto e Lombardia. Basta sfogliare Repubblica: un giorno sì e l’altro pure c’è un’intervista a qualche esponente storico del partito, che accusa l’attuale leader di aver tradito i valori autonomisti del Carroccio. Gli stessi per cui i rossi inorridivano 20 anni fa, quando il Senatùr arringava i suoi, chiedendo di imbracciare i fucili per la secessione dall’Italia. Quando – che volgarità – motteggiava sull’«avercelo duro», roba da far venire l’infarto a un’attivista per il Me too. Quando, addirittura, puntava il dito contro i banchieri ebrei (non c’era ancora la commissione Segre). All’epoca, la Lega era considerata dagli intellò l’espressione della parte più deteriore, bifolca, violenta e degenere del Paese. Oggi, persino Gad Lerner si fa scappare la lacrimuccia, se ripensa a quando intervistava i militanti in camicia verde ai raduni, o a quando, cito quasi testualmente, si scambiava le carezze con Bossi.

È un po’ la stessa operazione che è andata in scena con Silvio Berlusconi. Per la destra del Cavaliere, un tempo, la sinistra nutriva un orrore finanche antropologico. E del mattatore di Arcore, diceva più o meno le stesse cose che sentiamo oggi su Salvini: un dittatore, riporta in Italia il fascismo, è razzista, è mafioso. Gli intellettuali sottoscrivevano appelli, si mobilitavano i sindacati, i registi, gli attivisti, si organizzavano le piazze, proprio come accade ora con le sardine. Quando, nel 2011, Berlusconi si dimise da premier, piegato dalla triplice alleanza Merkel-Sarkozy-mercati, il popolo viola si radunò sotto Palazzo Chigi per festeggiare. Poi, le cose cambiarono: il Cavaliere tornò, ma addomesticato dalla condanna per frode fiscale. Depose le armi e si cucì addosso il profilo di statista europeista. Diventando, di colpo, il volto buono della destra, contrapposto al Truce Salvini. Di lì, la rivalutazione: riaccreditato prima da Matteo Renzi con il Nazareno, ora rispettato dal Pd e dalla sinistra radicale. Da reietto amico dei boss a padre della patria. Da populista a responsabile.

È lo specchio del crollo psicologico della sinistra: nell’era del sovranismo, non solo non vince più, ma affonda. E allora torna a fantasticare sui mitici anni in cui c’erano sì i barbari, però aveva ancora un qualche appeal sull’opinione pubblica, contava ancora su qualche corpo intermedio, poteva aspirare ad accaparrarsi qualche elezione. Perché è meglio vivere con il celtico Bossi, che morire con il nazionalista Salvini.

Alessandro Rico, 30 dicembre 2019

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