Chi (stra)parla di “fascismo” offende le vittime di quello vero

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È ora di fare un’operazione di igiene mentale elementare, di reperire un minimo di onestà nel dibattito, di piantarla di intrattenersi con le parole e, soprattutto, con la tragedia. È ora di smetterla di riesumare la categoria del “fascismo” così, il tempo e lo spazio intellettuale di un tweet, anche perché la pratica acefala sta deragliando nella comicità involontaria. “Fascista” è diventata, secondo editorialisti prestampati, intellò di risulta, giornaloni (un tempo) autorevoli, una libera e pacifica manifestazione di dissenso rispetto alle scelte del potere politico. Ovvero, sussidiario di quinta elementare alla mano, il contrario esatto di ogni fascismo. Niente, per Repubblica la piazza tricolore di ieri era “la rabbia nera contro il Conte-bis”, per Il Fatto Quotidiano una spolverata “del più scontato folklore fascista”, per il mainstream tutto un evento di CasaPound e Forza Nuova cui si sono aggregate casualmente 30 mila persone che passavano di là.

Tutto ciò potrebbe essere seppellito da una risata, se non fosse anche un copione cinico e baro. Perché gioca con i cadaveri, li rianima per esclusivi interessi di bottega dei vivi, stuzzica l’incubo del Novecento per rifilarci la sòla suprema secondo cui l’opposizione a un accordicchio di Palazzo che chiede di far votare gli italiani nel 2019 sarebbe il nuovo volto della dittatura. Hanno insistito anche oggi, i manganellatori del politicamente corretto, appoggiandosi all’ottantanovesimo compleanno di Liliana Segre. Colpita dalle leggi razziali a 8 anni, arrestata e deportata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau a 13, un padre e i nonni persi all’inferno, vero, l’inferno in terra. Per conto nostro, di fronte a lei vale solo il mutismo intriso di consapevolezza. Ma utilizzare il suo nome per ribadire all’infinito che la destra italiana contemporanea, legittimamente conservatrice, nazionale, sovranista, non credente nei dogmi dell’eurofondamentalismo e dell’immigrazionismo, sia uguale ai suoi persecutori degli anni Quaranta, alle squadracce, ai deportatori e agli assassini, non è solo falso, è offensivo per lei e per tutti loro, per tutti i suoi compagni d’inferno, per tutti i sommersi (soprattutto) e per tutti i salvati.

Lì si parla di figli strappati ai padri, di persone ridotte a ossa macilente, del lager, non della fiducia al governo Conte-bis. Un minimo di compostezza, di dignità, di percezione della differenza tra l’orrore e la farsa. Vogliamo coltivare il rispetto autentico, non parolaio, per la Segre e per tutte le vittime della svastica e del criminale sostegno che le diede il regime mussoliniano? Finiamola, ora, che è già troppo tardi, di spendere la parola “fascismo” a caso, di farci un titolo al giorno, per delegittimare avversari politici che col fascismo non c’entrano nulla. Non foss’altro perché invocano il suo opposto, la democrazia.

Giovanni Sallusti, 10 settembre 2019

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