Clima, non è colpa dell’uomo l’aumento delle temperature

Per la politica è l’uomo che sta distruggendo il pianeta anche se la sua responsabilità non è scientificamente dimostrata

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Piccola ma doverosa premessa iniziale, contro i pasdaran dell’ambientalismo: chi scrive non nega l’oggettivo aumento della temperatura media globale, né la crescente quantità di emissioni di gas serra imputabile in parte all’attività umana. Il punto è chiarire quali siano le vere origini da cui deriva il riscaldamento globale, senza agire in mondo ansiogeno, ideologico e, talvolta, cacofonico.

Partiamo da un presupposto che in pochi conoscono: la responsabilità dell’uomo sulla “crisi climatica” attuale è ancora scientificamente da dimostrare. Come ricordato dal più importante climatologo italiano a livello internazionale, Franco Prodi: “Nessuna ricerca scientifica stabilisce una relazione certa tra le attività dell’uomo ed il riscaldamento globale. Perciò, dire che siamo noi i responsabili dei cambiamenti climatici è scientificamente infondato”.

Prodi riporta alcuni esempi storici per dimostrare i numerosi cambiamenti climatici susseguitisi nel tempo, sbugiardando le tesi di Greta e dei nostri politici green, secondo le quali l’attività umana sarebbe la principale causa dell’aumento delle temperature terrestri.

La prima argomentazione attiene al cosiddetto “Periodo caldo medievale” (PCM), tra il IX ed il XIV secolo. Il climatologo nota come, in questo arco di tempo, la temperatura della Terra sia aumentata significativamente, con numerosi periodi di siccità soprattutto negli Stati Uniti, interessando in particolare la California, e nelle zone dell’Africa.

Tra l’850 ed il 1200, anche l’Alaska, da sempre tra le regioni più fredde al mondo, ebbe temperature in costante crescita che si erano già raggiunte tra l’1 ed il 300, per poi uguagliarle ancora dopo l’inizio delle rivoluzioni industriali. Non solo, una ricerca fatta nelle zone del Mar dei Sargassi, una porzione dell’Oceano Atlantico situata tra le Antille e le Azzorre, ha dimostrato come la temperatura della superficie del mare nel periodo medievale è stata di un grado superiore rispetto a quella attuale.

Quindi, qual è il punto? Che, in entrambi i casi, l’uomo non aveva ancora sviluppato tutte quelle attività produttive che oggi sono accusate di essere responsabili dei cambiamenti climatici. È pacifico che la temperatura globale sia in aumento dagli inizi del XIX secolo, ma è altrettanto evidente che la causa di questa crescita non debba essere imputata senza alcun dubbio all’essere umano.

Pare, invece, che l’approccio catastrofista abbia una seconda finalità: reindirizzare le preferenze dei consumatori in nome di una responsabilità ambientale ancora tutta da accertare. Insomma, per salvare il pianeta è necessario, se non doveroso, limitare le libere scelte degli individui attraverso un maggiore controllo pubblico.

È proprio in nome dell’ambientalismo che l’Ue ha deciso di vietare la circolazione dei motori a scoppio a partire dal 2035. È in nome dell’ambientalismo che l’università di Berlino ha diminuito al minino carne e pesce dalla propria mensa – nonostante la metà degli studenti fosse contraria. È sempre in nome dell’ambientalismo che molti governi hanno pensato di limitare l’uso di aerei e navi, prediligendo treni e biciclette.

Pochi esempi che mostrano come la politica cerchi di asfissiare la libertà di scelta dell’individuo – irresponsabile e inquinatore – in nome di uno Stato leviatano – responsabile e green.

Come ha ricordato ottimamente Stefano Magni, penna del magazine online Atlantico, siamo dinanzi al dilagante sviluppo di “un autoritarismo sempre più marcato, perché un mercato lasciato libero e una democrazia in cui rischiano di vincere Trump e Bolsonaro, sarebbero ostacoli inammissibili nel nuovo modello”. Insomma, non esistono soluzioni alternative: o sei green o sei un negazionista del cambiamento climatico.

Antonio Martino, liberale ed ex ministro degli Affari Esteri del governo Berlusconi I, parlando dei moderati, li irrideva dicendo di rimanere “moderati almeno nella moderazione”. Forse, oggi, dovremmo riprendere lo stesso metro di giudizio ed applicarlo agli ambientalisti. Cari gretini, siate cauti almeno nel principio di precauzione.

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