Cocktail vaccini, quali rischi si corrono

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di Paolo Becchi e GiulioTarro

La storia dei vaccini ci può forse insegnare qualcosa. Pensiamo alla poliomelite con l’uso iniziale del vaccino Salk che utilizzava un virus inattivato da trattamento chimico e che fu poi sostituito dal vaccino Sabin a virus attenuato dal trattamento di centinaia di passaggi in colture di tessuto fino a perdere la capacità di superare la barriera del suo passaggio orofecale senza arrivare al sistema nervoso centrale. Ovviamente la possibilità di somministrare il vaccino per via orale ha superato subito le barriere per la sua somministrazione per i bambini in particolare del continente Africano, del Centro Sud America e del Sud est Asiatico. Ma il vaccino Sabin aveva una controindicazione: il soggetto con deficit immunitario “pari a uno su due milioni e quattrocentomila dosi”, praticamente irrisoria.

Nessuno mescolava due vaccini

Per evitare tuttavia questi casi dal 2002 nel mondo occidentale si potrebbe di nuovo usare il vaccino Salk se si ripresentasse la malattia, ma ciò non ha inciso sull’uso globale del vaccino Sabin che ha già comportato la scomparsa globale del tipo 2 e del tipo 3 dal resto del mondo con pochi casi, 5-6 rispettivamente in Afganistan e Pakistan, con previsione del loro azzeramento nei prossimi 3 anni per quanto riguarda il tipo 1 che si è rifatto vivo come vaccino orale causa di poliomielite nei casi di soggetti defedati e immunodeficitari osservati nella Siria per la guerra in corso e che non possono incidere sul dato finale di azzeramento della paralisi infantile nei prossimi 2-3 anni con completa scomparsa della malattia come avvenuto per il vaiolo.

Chi faceva questi vaccini era immune per lungo tempo e forse addirittura per sempre e immunizzava anche gli altri. Questi erano i vaccini antipolio, come si vede anche allora c’erano due vaccini diversi. Anche se entrambe le tecniche utilizzavano un virus inattivato o attenuato. Mai nessuno si sognò di mischiare i due vaccini.   

Come funzionano i vaccini anti-Covid

Veniamo alla situazione attuale. La tecnica di iniettare non un virus, ma frammenti di RNA messaggero (mRNA) è del tutto nuova, mai sperimentata in precedenza. Essa consiste nell’utilizzare una molecola speculare all’acido nucleico del virus per la produzione delle proteine costituenti la particella virale con il fine di indurre la glicoproteina spike del coronavirus, usata per i recettori ACE2 delle cellule bersaglio in modo da produrre questi antigeni nelle nostre cellule mediante l’informazione dell’mRNA. In sostanza viene stimolata la produzione di anticorpi specifici come l’immunoglobulina verso gli antigeni specifici virali per ottenere l’immunità del soggetto vaccinato. Ma non ci sono solo questi vaccini. I vaccini più tradizionali sono quelli cinesi ed indiani, a virus disattivato, ma anche il vaccino prodotto dai Russi o l’AstraZeneca utilizzano un adenovirus come vettore contenente le istruzioni per produrre la glicoproteina spike che permette al virus di legarsi alle cellule umane utilizzate dopo come fotocopiatrice per creare nuove copie di se stesso. Il nostro sistema immunitario impara a riconoscere la proteina del virus “ibrido” e meno aggressivo, conservando la memoria dell’agente incontrato.

Il caso Astrazeneca (e non solo)

Oggi molta attenzione è riservata a AstaZeneca per alcuni effetti avversi molto limitati ma incontestabili. Ma poco si dice sui nuovi vaccini a mRNA. Con questi vaccini alcune regioni del genoma del virus si legano al gene delle cellule umane. Si è sottovalutata anzitutto la possibilità di attivazione di geni umani associati a rischio di malattie autoimmuni. Inoltre, nei soggetti in età fertile l’mRNA potrebbe indurre modifiche sugli spermatogoni o sugli ovuli con prospettive di alterazioni genetiche nei feti che solo il tempo potrebbe essere in grado di escludere. Ecco perché questo tipo di vaccino dovrebbe essere sconsigliato alle donne incinte come pure dovrebbe venire sconsigliata la gravidanza fino a due mesi dopo la sua inoculazione.

I vaccini a mRNA sono quelli della Pfizer e della Moderna dove l’RNA fa da modello per produrre la proteina spike della COVID-19 e stimolano la produzione di molti anticorpi. I vaccini AstraZeneca e Reithera consistono in un adenovirus vettore delle spikes del coronavirus, mentre l’adenovirus vettore dello Sputnik Russo è di origine umana quello dell’AstraZeneca usa un virus dello schimpanzè, mentre la Reithera un virus del gorilla. Gli adenovirus usati non sono contagiosi. L’adenovirus non si replica e non provoca malattia e diffonde il gene del SARS-CoV2 nelle cellule dell’organismo dove vengono prodotte le proteine spikes riconosciute dal sistema immunitario del vaccinato come estranee, rispondendo con anticorpi umorali e cellule linfocitarie che impediscono al virus l’entrata nelle cellule del vaccinato e distruggono le cellule infette.

Abbiamo, insomma, vaccini che funzionano con due modalità molto diverse, finalizzate a sviluppare differenti aree del sistema immunitario. Ora si è deciso addirittura di sostituire per la seconda dose il vaccino AstraZeneca con i vaccini realizzati da Pfizer e Moderna, anche se ieri il premier Draghi ha garantito libertà di scelta dietro consiglio medico. Dopo quanto abbiamo scritto dovrebbe risultare chiaro che si tratta di una decisione rischiosa che solleva molti dubbi sotto il profilo scientifico. Mai nella storia della medicina si è vista una cosa del genere, la vaccinazione eterologa, e le ricerche pubblicate sinora sono insufficienti per numero esiguo di soggetti esaminati e per gli effetti a lungo termine dei vaccinati.

Paolo Becchi e GiulioTarro, 19 giugno 2021

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