Confusione in Chiesa: benedetti i gay (ma solo senza sesso)

Al Sinodo si discute anche di coppie omosessuali. La linea di Zbigevs Stankevics e l’elogio dell’ipocrisia di una Chiesa ormai stanca

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papa sinodo gay

Tra fughe in avanti sconclusionate e risacche disordinate si dibatte la Chiesa. Questa Chiesa che non trova più ascolto, che se parla in nome della pace, del disarmo, è l’ultima a venire non ascoltata, ma sentita. Mai successo un pontefice più irrilevante di questo sulla scena del mondo, e bisogna dare atto all’influencer Bergoglio di essere riuscito nel suo intento: trasfigurando la Chiesa da servizio sociale a centro sociale, l’ha svuotata, di senso e di fedeli: solo il 17% in Italia ci va ancora, almeno la domenica, il resto o prega per conto suo o ha mollato proprio il colpo e non è solo la viltà del credente, è che anche l’istituzione ha un suo ruolo, di bandiera, di rappresentanza e nelle cose intime, religiose, la faccenda si complica maledettamente perché le cose si mescolano.

Bergoglio non è rappresentativo come padre dei cattolici come non lo è la “sua” Chiesa che, nel momento del bisogno e della paura, ha chiuso i suoi portali in faccia ai fedeli, poi, quando un regime bestia e autoritario ha deciso, senza opporsi li ha riaccolti, e ancora seguita, con la mascherina in faccia, quasi a respingerli, a rinnegare la speranza nel Dio provvidente. In compenso, ha accolto figure losche, imbonitori, agitatori come Casarini, convocato al Sinodo: roba da ridere, non virasse più sul tragico, o sul grottesco. Anche la storia che siamo ad affrontare qui veleggia sul tragicomico e per l’appunto s’inquadra in un Sinodo spezzato, diviso tra spinte moderniste controproducenti e reflussi che paiono usciti da otto secoli prima o almeno non da prima del Concilio Vaticano II ma da quello Tridentino.

È un monsignor Zbigevs Stankevics, supertradizionalista arcivescovo di Riga (Lettonia), con la “R”, a parlare a margine dei lavori sinodali: e la sua pronuncia ha l’effetto di un missile sul buonismo modernista bergogliano, pur se sospinto con propellente che pare fuori dal tempo e dalla concretezza cui la Chiesa è chiamata oggi. Dice Stankevics, con voce tutt’altro che stanka, che i gay vanno visti “con compassione”, e già affiora un sentimento più vicino al compatimento che alla dolcezza della fratellanza, e comunque la Chiesa non li tiene fuori, li ammette a patto che non si muovano: castità assoluta, perenne, totalissima. Messa così è ghiotta, al cronista vengono subito mille motivi per ironizzare e li risolve in latinorum, tanto per uscire dalla taverna: cosa vuol dire “se arriva un omosessuale come un persona individuale e dice ’vorrei vivere nella grazia di Dio’ non vedo controindicazioni. Se arrivano due e dicono ’vogliamo vivere nella castità’ si può pregare per loro e anche benedirli per aiutarli a vivere in castità. Ma se arrivano due che dicono ’conviviamo come marito e moglie e vogliamo ottenere la benedizione’ è un grande problema perché noi benediciamo il vivere nel peccato”, cosa è ‘sta supercazzola “vobisscum” alla fin fine?

È l’elogio dell’ipocrisia virtuosa, gesuitica, “nisi caste, caute”, cioè peccate ma senza scandalo, non fatelo sapere se non a noi. Perché nessuno, neanche un vescovazzo tetragono alla natura umana, ed è il suo e nostro Dio ad averci fatto di natura umana, può aspettarsi l’amorfità di una pietra per tutta la vita a prescindere dagli orientamenti: oggi, poi, che quegli orientamenti sono più shakerati di un minestrone…

Dunque, dove vuole arrivare Monsignore? Che la penetratio è bandita, vade retro incularella, il boccaglium non si sa, la manovella volendo forse? Non scherziamo, tanto più che padre Zbigevs si allarga: certo, distingue gli omosessuali in quanto tali (distingue o discrimina) ma poi nell’ombrello protettore della Chiesa, sotto l’ombrello, ricomprende tutti senza differenze; solo che l’ombrello è stretto come un francobollo, la castità integrale deve valere per tutti, anche coppie “regular”, marito e moglie: ogni atto sessuale fuori dal matrimonio è bandito e, si può a questo punto dedurre, fuori dalla procreazione, invece, pure. Siamo tornati ai due-colpi-e-via dell’alto Medioevo, che per grazia d’Iddio nessuno ha mai osservato salvo i fanatici destinati a morte prematura: perché queste sono regole che ammazzano, regole contro la natura e probabilmente l’intendimento di Dio stesso. Che nei Vangeli non sembra preoccuparsi particolarmente di questi aspetti, ha altro per la testa, altro da trasmetterci: ha un amore più rarefatto e più difficile, immediato, concreto, all’occorrenza sanguinoso, “prenda la sua croce e mi segua”. Altro che i bollini-premio della castità, la verginità, nuntereggaepiù.

Ma poi: pecca di più, qualsiasi cosa si voglia intendere, una coppia, etero o omo, che si dà al sesso senza problemi dentro un amore sincero, o la castità rognosa, ringhiosa di non si concede per ferire l’altro e, di riflesso, Iddio? Vale anche per chi porta una tonaca, eventualmente, o da quelle parti vige sempre quella sorta di dispensa mafiosa che in latinorum farisaicum recita, elegantemente, “promoveatur ut amoveatur”? E di questioni simili potremmo riempirne a tomi. La sparata ottusa, nel suo matematico argomentare, di un pezzo grosso lettone torna al precetto impossibile e al conseguente rifiuto del fedele che vive nel suo tempo e che dalla Chiesa, qua nessuno è teologo ma crediamo lo si possa dire serenamente, si aspetta sostegno, orientamento, conforto, magari richiamo ma non il dito puntato del Dio che “ti vede”, ti brucia già guardandoti.

Non è così, non funziona così. I preti in confessionale neanche le vogliono sentire queste storie, anche loro hanno altre priorità, per quanto, molto spesso, troppo spesso, puntate dritte verso il materialismo assistenziale. Ma vivaddio non più dentro le lenzuola stropicciate. Per una sparata vescovile da Riga, con la R, ci saranno mille prelati pronti a troncare, sopire, ammorbidire, contestualizzare, a dire che no, non è così, che no, il vescovo di Riga non voleva dire così. Anche se in effetti voleva proprio dire così. È la forza della Chiesa, la sua ipocrisia sottile, possibilista, duttile. Ma oggi quella forza sembra estenuata e le bordate, a salve, di certo clero sembrano più che altro puntate verso San Pietro e chi la abita, col suo malinteso strampalato secolarismo solidarista.

Certo non metteranno in crisi quel 17% (italiano) che ancora segue la liturgia, né faranno cambiare idea al 6% che negli ultimi tempi hanno abbandonato ritenendo la morale cattolica “troppo dura, difficile da seguire”. La Chiesa ogni tanto torna, con ragionamenti algebrici, ad occuparsi di morale sessuale, un campo dove chiudere i confini è dannatamente complicato; lo fa con ottusità da algoritmo, ma sapendo che i fedeli, quelli residui, se ne fregano, parla al popolo delle nuore perché suocera intenda. Ma la suocera se ne fotte pure lei, invita balordi e invasati al Sinodo, licenzia deliranti documenti di feticismo ambientalista che suggeriscono da vicino assai una blasfemia.

Brutti, bruttissimi tempi anche per chi cerca un Dio e deve scorgerlo nella polvere di odio manovriero, di polemiche un po’ cretine, di tempo criminalmente sprecato, di fughe in avanti demenziali e risacche da reflusso della storia da un clero che con una voce sembra sdoganare tutte le perversioni, con l’altra sembra trattare tutto come perversione e, anche lui, non sembra saper più dove andare.

Max Del Papa, 19 ottobre 2023

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