Cosa rischia Macron con il voto

La Francia in bilico: le manovre di Bollorè, il consenso di Le Pen e la generazione Zemmour

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Le groupe Vivendi, contrôlé par Vincent Bolloré, continue sa boulimie de médias. Ce mercredi, il a annoncé le rachat des parts d’Amber Capital dans Lagardère, propriétaire notamment d’Hachette, d’Europe 1 et des journaux le JDD et Paris Match”. Così Le Parisienne riportava a settembre, con tutta la malignità necessaria, una notizia dell’agenzia francese Afp sulle mosse di Bolloré che si avviava a contendere il controllo del gruppo Lagardère al suo socio Bernard Arnault, proprietario, tra l’altro, di Les Echos e, appunto, di Le Parisienne.

Le grandi manovre nei media francesi

Nei giorni scorsi (il 23 ottobre) Lella Abboud ci informa con un articolo del Financial Times dal titolo “Conservative billionaire Vincent Bolloré  tightens grip on french media” (stringe la sua morsa su settori dei media francesi), come fossero stati licenziati i direttori filomacroniani delle testate neo-controllate (JDD e Paris Match) con giornalisti simpatetici verso Éric  Zemmour. Se nel frattempo registriamo anche come la CNews, canale televisivo di notizie 24 ore su 24, controllata da Bolloré, stia contemporaneamente radicalizzandosi e conquistando sempre più pubblico, abbiamo una qualche idea del perché Emmanuel Macron sia sempre più preoccupato.

Le carte di Marine Le Pen

I sondaggi  danno il presidente in carica ancora vincente al secondo turno sia contro Marine Le Pen sia contro Zemmour, con un suo 55 contro il 45 per cento del candidato di destra. Ma chi si ricorda che cosa è successo in Italia nel 1994 quando Silvio Berlusconi ha riconquistato il controllo dei suoi media, anche scontando la rottura con Indro Montanelli, e riflette sul ruolo di Fox news nella campagna per le presidenziali americane del 2016, capisce perché l’attuale inquilino dell’Eliseo sia così poco tranquillo. La Le Pen può contare su un largo consenso popolare, è arrivata a prendere il 33,9 per cento nel secondo turno. Ma non sfonda soprattutto nel voto delle grandi città (a Parigi ha preso nel secondo voto del 2017 il 4,9 per cento).

La generazione Zemmour

Con Zemmour sarà tutta un’altra partita: ebreo, opinionista del Figaro, autore di libri di grande successo (l’appena uscito “La France n’a pas dit son dernier mot”; “Le suicide français” del 2014; “Destin français” del 2018) parla a ceti colti urbani tra i quali molti giovani che si dichiarano della generazione Z (Zemmour). Il suo appello alle radici giudaico-cristiane della civiltà francese trova molto ascolto tra i gollisti orfani di un François Fillon che su questo tema aveva centrato tanto della sua campagna prima di essere azzoppato da uno scandalo opportunamente scoppiato prima del voto. Alcune posizioni di Zemmour appaiono o sono comunque radicali, con qualche bizzarria (forse di troppo): però è il destino di chi sfida “il pensiero unico” oggi largamente imperante. Si consideri appunto l’esperienza di un elogiatore della “follia erasmiana” come Berlusconi.

La saldatura tra l’esasperazione dei ceti popolari rappresentata dalla Le Pen con la rivolta colta al conformismo, espressa da Zemmour, con un richiamo all’elettorato gollista stanco di Macron e con una sinistra molto disgregata, stanno delineando uno scenario nuovo, dove i richiami alla disciplina “repubblicana” per estromettere dal potere i non conformisti possono avere meno seguito delle presidenziali precedenti quando i (peraltro molto rozzi) lepeniani prima del padre e poi della figlia sono stati sconfitti. E certi lamenti di un giornalismo che non vuole battaglie culturali ma solo il prevalere del conformismo, paiono essere soprattutto segnali di quanto la situazione si sia messa in movimento.

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