Cosa sta cambiando nel mondo arabo

L’attacco dell’Iran ad Israele dà una indicazione chiara: Teheran ha agito da sola e la Giordania si è schierata con Tel Aviv

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L’attacco diretto e senza precedenti condotto dall’Iran verso Israele è sintomatico del cambiamento che da tempo cova all’interno del mondo arabo. In un universo che fino a pochi anni fa pareva cristallizzato nel suo passato oscurantista e rinunciatario a qualsiasi modernizzazione, qualcosa sta cambiando. L’Iran, in questa operazione, era da solo.

Se si escludono i burattini del Libano e gli Houthi nessun altro paese arabo ha partecipato all’attacco, anzi la Giordania si è schierata in modo manifesto a favore di Israele, chiudendo il proprio spazio aereo e intercettando diversi droni iraniani diretti sul territorio dello stato ebraico. Proprio la Giordania, un tempo tra i grandi nemici di Israele, sconfitta tre volte da quest’ultimo (prima guerra arabo-israeliana, guerra dei sei giorni e guerra dello Yom Kippur) sta conducendo una politica diplomatica di riavvicinamento a Tel Aviv, e dunque all’Occidente. Iniziata dopo la guerra ai palestinesi intenzionati a compiere un colpo di stato e culminata col tristemente noto Settembre nero, questa politica mostra oggi di aver portato le due nazioni un tempo nemiche ad un comune approdo in materia di sicurezza comune.

Pare inoltre che anche i sauditi abbiano dato manforte ad Israele nel distruggere i droni iraniani.
Un’ulteriore conferma di come il mondo arabo non sia affatto compatto nel suo odio verso lo stato ebraico. Egitto, Giordania, Marocco, Arabia Saudita ed Emirati arabi conducono da tempo ormai una politica di appeasement verso Israele che, seppur blanda, dimostra una certa volontà di apertura verso l’occidente e un tentativo di uscire dal buio dell’estremismo religioso.

Gli Accordi di Abramo, saltati con l’attentato genocidiario del 7 ottobre, ne sono una prova.
Da una parte quindi un mondo arabo cautamente progressista, dall’altro la violenza e l’assolutismo di matrice prevalentemente sciita guidato dall’Iran con a seguito Iraq, Libano, ribelli yemeniti e l’ambigua Turchia, da tempo ormai ossessionata dalla volontà di sottrarre ai sauditi il ruolo di nazione-punto di riferimento dell’Islam sunnita e prigioniera di uno shekesperiano neo-ottomanesimo che si esprime anche attraverso il soft power (si vedano la quantità di serie tv turche che spopolano anche in Italia).

L’Iran parrebbe aver condotto l’attacco in un disperato tentativo di riaffermare il suo primato di purezza, una purezza ideologica che nell’estremismo islamico significa voler distruggere a tutti costi lo stato ebraico. Una guerra d’immagine tutta interna al mondo arabo. L’attacco è servito ad Israele ad individuare il suo nuovo nemico mortale nel medio oriente dopo la distruzione di Hamas. La speranza va riposta nelle nazioni arabe “illuminate” e nel loro realismo diplomatico. Se riusciranno ad isolare Teheran forse la risposta israeliana potrebbe essere frenata e il conflitto non si allargherà. La Giordania potrebbe fungere da esempio in questa speranza.

Francesco Teodori, 15 aprile 2024

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