Così lo Stato fa la “cresta” sui tamponi

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di Paolo Becchi  e Nicola Trevisan

Attualmente in Italia si calcola che ci siano circa 3 milioni di lavoratori che settimanalmente fanno 2-3 tamponi rapidi per poter lavorare. In questo nostro articolo vogliamo porre l’accento su come questa misura sia di fatto diventata una ennesima tassa per alcuni cittadini, la tassa “sulla libera scelta”.

Come funziona un tampone rapido?

Con il tampone antigenico rapido, si cerca l’antigene. La presenza del virus è rilevata tramite la reazione tra antigene (la proteina Spike del virus) e anticorpo, che è presente all’interno del test. In circa 15-30 minuti, si ottiene un risultato qualitativo, positivo/negativo o non valido (in caso di campione insufficiente). Il metodo è come quello del test di gravidanza che si acquista in farmacia.

Questo tipo di monitoraggio è nato per non intasare i laboratori delle strutture ospedaliere, quindi si tratta di strumenti utili per eseguire degli screening in ampie fasce della popolazione, come i dipendenti di un’azienda, gli alunni, i pazienti degli studi dentistici, i passeggeri di un volo aereo. Per l’ottenimento del certificato verde il tampone deve essere eseguito da personale autorizzato. Il test fai da te quindi non è ammesso.

Quanto costano?

In rete, distributori autorizzati dal ministero della Salute, vendono tamponi con prezzi che oscillano dai 3,10 euro ai 3,80 euro a seconda della confezione. L’operazione di prelievo richiede pochi minuti, il risultato dell’analisi viene fatto senza intervento dell’operatore si tratta solo di “aspettare” l’azione del reagente; in quel lasso temporale quindi l’operatore può svolgere molti altri prelievi.

Come sempre in Italia chi la fa da padrone? La burocrazia. Che sicuramente risulta un peso per la farmacia: le continue telefonate, prenotazioni, inutili fotocopie da presentare ogni volta di tessere sanitarie e documenti d’identità, oltre alla fase del pagamento e rilascio green pass. Tutte cose che potrebbero essere gestite tramite portali web dall’ULSS territoriale (che alcune già fanno ma per conto proprio), per quanto riguarda la scelta del giorno, ora, luogo, invio documentazione e pagamenti on-line e poi dirottare le persone nel territorio sgravando di tutta la parte burocratica le farmacie. Tutte queste cose purtroppo costituiscono un grosso limite che alla fine si ripercuote su tutti e in particolare sul costo finale al cittadino.

I margini

Considerando i costi intorno ai 3-4 euro per i materiali, moltiplicare per 3-4 volte il costo al pubblico non vi pare un tantino esagerato? Stiamo facendo una campagna di screening per capire come evolve la “pandemia” oppure vogliamo spillare soldi ai cittadini con questa nuova tassa per chi sceglie strade diverse rispetto ai vaccini come la legge prevede? Come esemplificato sopra ci possono essere degli accorgimenti a cui il ministero può ricorre per ridurne il costo finale, perché non lo fa?

Soldi sottratti all’economia

In più tutti questi introiti vanno esclusivamente a ringrassare bilanci di USLL, farmacie e centri medici e vengono tolti all’economia reale fatta delle attività sotto casa. 180 euro di tamponi x 3 milioni x 5 mesi = 2,7 miliardi di euro! Abbiamo posto 5 mesi perché il green pass sarà prolungato sino a marzo, ma al tempo stesso sottostimiamo il numero di cittadini coinvolti, perché chi non si sottoporrà alla terza dose, dovrà comunque ricorrere al tampone. In ogni caso 2,7 miliardi di euro sono più del 10% di una manovra finanziaria classica di 20 miliardi. Quante attività e quante economie si potrebbe risollevare dopo una crisi così devastante che ha solamente ampliato il divario tra ricchi e poveri e cancellato chi sta nel mezzo? Ridurre il prezzo dei tamponi è una scelta che riguarda le tasche di tutti.

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