Covid, lo strano caso delle guarigioni in Camerun

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Qualche pool di esperti dovrebbe indagare perché in tutta l’Africa i morti per covid siano sui centomila, tanti quanti l’Italia. Capisco che dopo tutti i soldi spesi dall’Occidente per i vaccini bisogna concentrarsi su questi a tutta manetta, tuttavia un’occhiata al continente sotto di noi la si potrebbe anche dare. Qualcuno dirà che da quelle parti non c’è troppo da fidarsi dell’anagrafe e dei numeri. Ma è anche vero che, quando si tratta di invocare aiuti, i numeri (di profughi, malati, affamati, perseguitati eccetera) da quelle parti si è soliti esagerarli, non diminuirli. E in modo così drastico. Centomila soli morti, e in un continente dove le strutture sanitarie (e igieniche) sono quel che sono, quando ci sono. Sia come sia, non pare che l’Oms si stia impensierendo più di tanto, anche se il suo presidente è africano.

Un riflettore, per esempio, andrebbe puntato sul Camerun, dove succede qualcosa di singolare che meriterebbe le prime pagine. La specialista Anna Bono sul quotidiano online La Nuova Bussola Quotidiana del primo aprile ha riferito quanto segue: «Nel solo Camerun da un anno migliaia di persone sono guarite dal coronavirus curandosi con due farmaci a base di erbe, Elixir Covid e Adsak Covid, creati da monsignor Samuel Kleda, arcivescovo della capitale economica Douala, esperto nell’uso di erbe medicinali». Dunque si può guarire bevendo tisane? Per la verità, «monsignor Kleda aveva annunciato a marzo di aver trovato una cura che poteva attenuare i sintomi del coronavirus. Subito dopo l’arcidiocesi di Douala ha aperto dei dispensari per distribuire gratuitamente i due trattamenti. La gente è accorsa». Risultato? «Persino persone ricoverate in ospedale si sono procurate la cura e sono guarite. Si è ridotta anche la percentuale di decessi tra le persone colpite dal virus in maniera grave». Intervistato, il prelato afferma che «abbiamo distribuito il trattamento a centinaia di persone e tutte sono guarite».

Visti i risultati, personalità politiche e uomini d’affari camerunensi hanno avviato raccolte di fondi per produrre grandi quantità di quei medicinali. Il primo ministro e il ministro della sanità hanno preso la cosa molto sul serio e convocato l’arcivescovo in parlamento. Così, il Camerun ha deciso di vendere i due prodotti sui mercati stranieri, ma di somministrarli gratuitamente in patria tramite i centri sanitari cattolici di Douala e della capitale Yaoundé, dove si è registrata la maggior parte dei casi di covid. Qualcuno, letto fino a questo punto, si sarà chiesto: ma perché Draghi-Di Maio-Speranza non alzano il telefono e chiamano il Camerun, almeno per informarsi? Qualcun altro, spingendosi più in là, potrebbe chiedersi perché il telefono non lo alza Ghebreyesus. Posso maliziosamente avanzare una spiegazione? Eccola. Quella del Camerun è erboristeria, non chimica. E figurarsi se i virologi, epidemiologi, tuttologi di Usa, Ue e Commonwealth si abbassano a guardare nel cannocchiale di Galileo.

Se anche Bruno Vespa prima invita al suo talk e poi insolentisce un medico no-vax, è molto probabile che l’elisir camerunense verrebbe trattato coralmente come la famosa «cura Di Bella», l’incauto medico che si scatenò addosso i fulmini della medicina ufficiale, della stampa e dei politici per avere detto che «eppur si muove». Gli esperti occidentali, come è noto, sono avversari anche dell’omeopatia, quantunque ci siano pazienti, e non pochi, che giurano che con loro funziona.

Qualcuno, bontà sua, ammette – individualmente – l’agopuntura, ma il suo uso dipende dell’estro del sanitario. Però un elisir di erbe africane, per giunta ideato da un prete papista! Vade retro (e chissenefrega della miriade di sacerdoti-scienziati di cui è costellata l’intera storia)! Ricordate l’adagio? Secondo i sacri protocolli dell’aerodinamica il calabrone non può volare. Però vola.

Rino Cammilleri, 3 aprile 2021

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