Decreto “Cura Italia”, le prossime scadenze fiscali

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Insieme al maxi prestito ponte garantito dallo Stato per assicurare alle imprese, tramite il sistema bancario, una liquidità pari al 25% del fatturato, il secondo decreto “Cura Italia” dovrà necessariamente tornare ad occuparsi di scadenze fiscali.

Delle prossime scadenze di versamento, infatti, le uniche che risultano attualmente rinviate sono quelle delle ritenute fiscali, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria relativi al mese di marzo, per altro limitatamente alle agenzie di viaggio e turismo, ai tour operator e agli ulteriori soggetti operanti nei settori “maggiormente esposti”, di cui alle lettere da a) a r) del co. 2 dell’art. 61 del DL 18/2020.

Per tutto il resto (e per tutti gli altri), la scadenza del 16 aprile incombe, così come, per tutto e su tutti, incombono quella del 16 maggio (quando scadrà anche la prima delle quattro rate dei contributi previdenziali sul “minimale obbligatorio” dovuto da artigiani e commercianti), del 16 giugno e, soprattutto, quella del 30 giugno con la “botta” dei saldi e acconti Irpef/Ires/Irap e relative imposte sostitutive, nonché con l’acconto Imu.

Sul fronte del maxi prestito ponte pari al 25% del fatturato, ci sono già importanti conferme da parte del Ministro dell’Economia, anche se l’intenzione di dare seguito alla garanzia statale nella misura piena del 100% sembra per ora limitata ai prestiti fino a 800.000 euro, fermandosi al 90% sul resto. Già questo sarebbe un primo risultato, se si considera che l’idea iniziale del Governo era quella di non andare oltre al 90% per tutti, ma è auspicabile possano esservi ulteriori passi in avanti.

La ragione è talmente semplice da risultare persino stupefacente che possa non venire colta: l’iniezione di liquidità serve davvero nella misura in cui arriva subito (e si è anzi già in grave ritardo), per prevenire lo stallo della filiera dei pagamenti e le sue chiare conseguenze, ragione per cui obbligare le banche a valutazioni di merito creditizio sul 10% non garantito, moltiplicate per la pioggia di richieste, in un contesto in cui gran parte degli organici delle banche operano e si interfacciano da remoto, significa creare i presupposti per una versione bancaria della Caporetto già fatta registrare dall’Inps, con dilatazione anche significativa dei tempi di erogazione del prestito soprattutto nei confronti dei soggetti che ne avrebbero più velocemente bisogno. Francamente, centellinare l’acqua che serve per spegnere un incendio che già divampa, per il timore che qualcuno tra i molti se la beva invece di gettarla sul fuoco, pare atteggiamento più stolto che avveduto.

Sul fronte versamenti fiscali, pare si ragioni su un differimento delle prossime scadenze più immediate (16 aprile e 16 maggio), ma limitatamente ai soggetti che sono stati colpiti in questi mesi del 2019 da un significativo calo del fatturato. L’approccio selettivo può essere senz’altro giustificato, ma sarebbe opportuno mettere meglio a fuoco le scadenze da rinviare. Non è detto, infatti, che la scelta migliore sia necessariamente sospendere la scadenza più prossima.

Ad esempio, se si esce dalla logica del giorno dopo, non sembra esserci partita, in termini di ragionevolezza ed efficacia, tra sospendere l’Iva e rinviare i saldi 2019 Irpef, Ires, Irap e relative imposte sostitutive, in scadenza al 30 giugno, se si esce dalla logica del giorno dopo e ci si pone in un’ottica di ragionevolezza e di efficacia. Bollettini delle entrate alla mano, spostare questi versamenti significa dare ossigeno ai contribuenti per circa 20 miliardi.

Miliardi che, unitamente ai circa 10 già sospesi a marzo, andrebbero però richiesti indietro né a maggio 2020, né nell’autunno 2020, ma direttamente negli anni successivi, con possibilità di rateizzazione spalmata sul 2021 e 2022.

Non solo per fare un favore ai contribuenti, ma anche per fare un favore al bilancio dello Stato. Perché, mentre due punti di Pil di deficit in più sul 2020 hanno un peso molto relativo, un punto di deficit in meno sul 2021 ed un altro sul 2022 potranno tornare molto comodi.

Dovrebbe del resto essere evidente a tutti, anche a chi meritoriamente svolge un ruolo tecnico di presidio dei conti pubblici, quale possa essere la migliore strategia, anche nel rapporto con istituzioni internazionali e mercati finanziari, tra chiudere il deficit 2020 al 10% invece che all’8% e però chiudere i deficit 2021 e 2022 sotto al 3% o il più possibile vicini, invece che un punto in più. Dovrebbe.

Enrico Zanetti, 6 aprile 2020

Eutekne

 

 

 

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