Dopo il ’68 la scuola è un casino. Perché va “abolita”

L’istruzione diventi libera, lo Stato controlli solo il rispetto della Costituzione

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Le ultime vicende della scuola – vax sì, vax no, green pass sì, green pass no, mascherine, quarantene e okkupazioni à la sans façon – hanno rimesso in evidenza il problema della scuola italiana e che si può riassumere in un solo vocabolo: un casino. Il rimedio? Ce n’è solo uno, ma lo dirò alla fine.

Nell’Ancien Régime i compiti pubblici erano così ripartiti: allo Stato l’ordine e la difesa, alla Chiesa la scuola e l’assistenza. Poi vennero i giacobini e decretarono che tutto doveva essere dello Stato. Cioè, loro. E non tanto l’assistenza, che, dato il ceto dei destinatari, non portava consensi utili, quanto la scuola. Fu allora che divenne obbligatoria. Con essa il regime si garantiva il futuro. Ricordate Orwell? «Chi controlla il presente controlla il passato, chi controlla il passato controlla il futuro». Ma almeno i preti insegnavano la carità e l’amore del prossimo, mentre i giacobini l’odio di classe. Comunque, la lezione fu imparata da tutti i regimi che seguirono, come chi conosce la storia sa.

Tornando all’Italia, dopo la parentesi fascista la scuola non smise di essere di Stato. Solo che adesso il pluralismo ideologico ostava a una scuola monolitica. I Dc di allora, che erano colti, fecero di tutto per riservarsene la gestione, i Pc si posero in attesa. E venne il Sessantotto, che, sapendo solo devastare, quello fece anche con le giovani menti. Da allora la scuola italiana è ingestibile, irriformabile, un circo equestre in cui si impara poco e, quel poco, è un rivendicazionismo senza costrutto e senso perfettamente plagiabile dal politicamente corretto del momento. Che si apprende al di fuori della scuola, televisione in primis. Rimane un baraccone napoleonico con un milione e mezzo di addetti, periodicamente innovato da c.d. pedagogisti «esperti» che in vita loro non hanno mai insegnato a scuola. Essendo i più laureati, li si deve pagare da tali, ma, essendo troppi, si dà loro il minimo per sopravvivere. Epperò la scuola rimane un forno indispensabile per ridurre, momentaneamente, la disoccupazione.

Come se ne esce? Non se ne esce. A meno che prima o poi non sorga qualcuno che voglia fare davvero qualcosa di liberale: abolirla. L’insegnamento diventi libero, chi vuole intraprendere apra una scuola e a chiamata. Lo Stato controlli solo il rispetto della Costituzione, e nient’altro. Risultato, concorrenza. I presidi cercheranno di accaparrarsi gli insegnanti migliori, perché questi portano iscrizioni. Da qui, buoni stipendi, ogni insegnante avrà il suo ufficio in cui ricevere studenti e genitori. In tali condizioni, io stesso, con sottobraccio il mio curriculum, tornerei volentieri a insegnare.

Qualcuno potrebbe obiettare: sì, ma dilagherebbero le scuole islamiche. È vero. Ma anche buddiste, induiste eccetera. Vorrei però vedere qual genitore manderebbe suo figlio in una scuola dove non si insegna qualcosa di utile a far carriera. Lucrosa. Comunque, una liberalizzazione del genere non accadrà mai, tranquilli.

Rino Cammilleri, 9 febbraio 2022

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