La pronuncia della Corte

Doppio cognome, il vero motivo (liberale) per cui è assurdo

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Fra i tanti argomenti di buon senso che sono stati portati, anche su queste pagine, per criticare la pronuncia della Corte costituzionale sull’uso del doppio cognome, mi sembra che ne sia mancata una di principio e propriamente liberale. È qui forse opportuno portare questo punto all’attenzione dei lettori, anche perché la Corte proprio sul terreno dei principi ha posto a questione: non solo definendo discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che gli attribuisce automaticamente il cognome del padre, ma anche invocando il principio di uguaglianza presente nella Costituzione.

Certo, la Carta va interpretata e fatta vivere nel tempo, ma ciò non significa che lo si debba fare necessariamente in senso “progressivo”, come oggi una certa ideologia comune vorrebbe. Pur non essendo un costituzionalista, la mia impressione è che sia sbagliata, o meglio illiberale, proprio la “filosofia” che sta alla base della pronuncia della Corte, che è poi l’idea di voler imporre per via politica o giuridica una norma alla società anche se essa non sia affatto emersa dalla società stessa come un improrogabile bisogno. Insomma, è qui all’opera, a me sembra, il solito costruttivismo, cioè la superbia del legislatore che crede di saperne più di coloro, uomini e donne ovviamente, a cui la legge si applicherà, e che quindi in base a un principio astratto vuole “ridisegnare” e “raddrizzare” la società “storta” che abbiamo ereditato.

In questo, davvero, il diritto consuetudinario anglosassone dimostra una netta “superiorità  morale” su quello razionalistico continentale, il quale non tiene in conto che la razionalità è anche quella che si sedimenta nelle tradizioni di una società. Che ovviamente non sono e non vanno concepite come statiche, ma che non possono essere resettate senza che se ne siano verificate le condizioni. E sinceramente questo sentirsi discriminati per non avere un doppio cognome non mi pare proprio che sia un problema particolarmente avvertito dalle donne e dagli uomini di questa nostra Italia martoriata (e con ben più gravi problemi da affrontare).

C’è poi più in generale, alla base di tutto, un problema filosofico che andrebbe affrontato, anche se non si richiede certo al legislatore di farlo. Bisognerebbe cioè chiedersi cosa significhi effettivamente il principio di uguaglianza in una società libera: può essere un assoluto? Può essere assunto come ispiratore di ogni norma? Ora, a parte il fatto ben risaputo che una cosa è l’uguaglianza e un’ altra è l’ugualitarismo, il quale, volendo eliminare le differenze fra gli umani, finisce per essere esso stesso discriminante, il fatto da considerare e tenere ben presente come quel principio abbia una forza altamente corrosiva e vada quindi usato con sagacia e discernimento.

Pretendere che istituzioni come la scuola, la famiglia, l’impresa, seguano il modello democratico e abbandonino ogni principio gerarchico, significa semplicemente farle morire, e far morire con loro la stessa società. Un minimo di gerarchia, e distinzioni delle funzioni, ci vuole sempre, anche se se poi e giustamente la gerarchia non va concepita in modo astratto e rigido. Ognuno di noi, anche l’uomo più potente, è “signore” per certi versi e “servo” per altri, in un rapporto che può cambiare ma che non può essere eliminato. Oggi le donne si sono “emancipate” per molti versi, ed è un bene. Così come un bene è sicuramente che questo processo continui. Ridurre però a facili schematismi i rapporti di potere, e pensare che essi semplicemente possano sparire dalla faccia della terra, è non solo utopistico ma anche deleterio. Altri se ne creerebbero con la pretesa di non esserlo. E sarebbero i più pericolosi. 

Corrado Ocone, 1 maggio 2022   

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