Dpcm: il trucco di Conte che mette in lockdown il Pd

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Bisogna riconoscerlo: se non siamo di nuovo ai domiciliari, è perché Giuseppe Conte s’è messo di traverso al Pd e a Roberto Speranza. Non per magnanimità, sia chiaro. Sa – gliel’ha detto Rocco Casalino? Ha sondato il sentimento popolare? Semplicemente, non vive su Marte? – che con un lockdown si giocherebbe il consenso che, curiosamente, gli italiani gli accordano. Un capitale politico individuale che potrebbe tornargli molto utile quando il Pd, completata l’opera di fagocitazione dei 5 stelle, proverà a farlo fuori. Giuseppi è avvocato del popolo, ma soprattutto di se stesso: non farà la fine di Mario Monti.

Ceffone ai dem

Così, dal presidente del Consiglio, è arrivato un sonoro ceffone ai dem e al ministro della Sanità, che s’è bruciato con le sortite televisive in stile Berlino est.

Da non trascurare, poi, la presa di posizione sul Salva Stati: nelle ultime ore, da sinistra e da Italia viva, oltre che da vari settori del giornalismo, da intellettuali e osservatori, era partita una raffica di sofismi sgangherati per sfruttare la curva epidemiologica pro domo Mes. Il no ribadito in conferenza stampa, sebbene alla solita maniera barocca, è un colpo a piddini e renziani, che infatti oggi sbraitano, oltre che ai pentastellati tentati dal cedimento e agli Enrico Letta e simili, numi predicanti che insidiano il vanesio presidente in pochette. Il quale, è chiaro, non tollera che gli si tendano trappole e ha ampiamente dimostrato di saperle abilmente schivare.

Gli errori del governo

Per carità, restano tutte le imbarazzanti carenze di Conte e del suo esecutivo. Il pasticcio sui trasporti, che Paola De Micheli ha vergognosamente provato a scaricare sugli italiani, quelli che hanno la “percezione” di un sovraffollamento (matti!) e quelli che sull’autobus si abbassano la mascherina sotto al mento (untori!). La dormita epocale su ospedali, personale e terapie intensive. La collezione di capolavori di Domenico Arcuri, che oltre a essersi svegliato tardi sulla sanità, ancora deve consegnare tutti i banchi. La sottovalutazione dell’epidemia in estate, con tante Cassandre della seconda ondata, pochi tamponi e un mese e mezzo di anarchia che non si può credere essersi generata all’insaputa di Palazzo Chigi. Quasi che l’idea di fondo fosse: facciamoli sfogare e poi li rinchiudiamo ancora. Per non parlare dei vizi di metodo. Conte torna al one man show, alle conferenze stampa serali, precedute da attese estenuanti, agli sgarbi alle opposizioni: “Ho avvisato i leader”, s’è schermito ieri; “Un minuto di telefonata alle 21.31”, ha ribattuto Matteo Salvini, che con Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi ha firmato una nota piccatissima: “Non si può definire coinvolgimento una telefonata con la quale  si preannunciava una conferenza stampa già fissata”. E anche le misure di contenimento del virus sembrano, a tratti, il frutto bacato di un’intesa scucita per miracolo: l’ultimatum di una settimana alle palestre, ad esempio, è palesemente una pezza per dare altro tempo alle forze di maggioranza per trovare una quadra. Sulla pelle degli esercenti. Senza dimenticare lo scaricabarile sui sindaci, che però nel testo del Dpcm non sono nemmeno citati.

Dunque, lungi da noi l’idea di fare un monumento al premier.

Grancasse del premier

Però, va riconosciuto che se al governo c’è una “potenza di fuoco” – per usare una sua ridicola formula autocelebrativa – è proprio quella, mediatica, dell’avvocato. Nell’arco di 24 ore, quando ha capito che, sfruttando la campagna allarmista, la sinistra lo stava spingendo verso la serrata, ha fatto in modo che cambiasse radicalmente il messaggio, appoggiandosi su giornali amici e persino tecnici di governo. Ieri, Il Fatto ridimensionava l’emergenza. Franco Locatelli, capo dell’Istituto superiore di sanità, ha inopinatamente passato due giorni nei panni di una specie di Matteo Bassetti, solo più istituzionale. Dopodiché, la comunicazione è come la gravità: basta la giusta spinta e la narrazione desiderata vien giù da sé. Un trucco che, al concorrente Salvini, non riesce spesso, specie da quando i giallorossi hanno capito che, di migranti, meno si parla e meglio è.

Soprattutto, non era scontato che Conte, piuttosto che lasciarsi soltanto sbrindellare la giacca a furia di essere tirato di qua e di là dagli “alleati”, si ritagliasse un ruolo individuale, affinando le armi per evitare che le smanie degli azionisti del governo minassero la sua primazia. Dal punto di vista meramente tattico, al premier va dato atto di esser stato capace di giocarsi le sue carte, come un politico consumato.

Meraviglie di Casalino? Doti di mediatore dell’avvocato? I consigli del Colle, che non sempre ha gradito i protagonismi di Conte, ma continua a reputarlo un’utile riserva per arginare i sovranisti? Chissà. Una cosa è sicura: di questo Giuseppi non ci libereremo facilmente.

Alessandro Rico, 19 ottobre 2020

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