Economia e Logistica

240 miliardi di dollari in atterraggio sulle piste di Asia e Medio Oriente

Nel prossimo decennio mega investimenti per aumentare di 1,24 miliardi la capacità passeggeri. Ue pronta condannare a morte gli aeroporti regionali

Immagine generata da AI tramite DALL·E di OpenAI

Gli aeroporti dell’Asia-Pacifico e del Medio Oriente hanno già a bilancio un investimento complessivo di 240 miliardi di dollari tra il 2025 e il 2035, finalizzato sia all’ammodernamento delle strutture esistenti che alla costruzione di nuovi aeroporti. Lo ha rivelato l’Airports Council International Asia-Pacific & Middle East (ACI APAC & MID), che rappresenta oltre 600 aeroporti in 46 Paesi e territori in Medio Oriente e dell’Asia.

Un recente sondaggio condotto su più di 30 aeroporti chiave ha evidenziato che i progetti brownfield assorbiranno 136 miliardi di dollari, creando capacità per 680 milioni di passeggeri aggiuntivi e 14 milioni di tonnellate di merci. I progetti greenfield, ovvero in scali nuovi di zecca,  prevedono un investimento di 104 miliardi di dollari per aggiungere capacità per 562 milioni di passeggeri e 57 milioni di tonnellate di merci.

L’aumento totale di capacità è pari a 1,24 miliardi di passeggeri e 71 milioni di tonnellate di merci, equivale a 13 aeroporti internazionali di Dubai per volume di passeggeri e a 14 volte il volume di merci dell’aeroporto internazionale di Hong Kong.

Vola ben più basso, e mai termine fu più azzeccato, ACI EUROPE che ha risposto alla Commissione Europea sulla revisione delle Linee guida sugli aiuti di Stato nel settore dell’aviazione, ribadendo che gli aiuti operativi agli aeroporti regionali europei devono essere prorogati per salvaguardare la connettività aerea vitale. Ne sanno qualcosa, da noi, Sardegna e Sicilia.

Secondo ACI EUROPE, la scadenza del 2027 per l’eliminazione graduale degli aiuti operativi — attualmente in fase di revisione — non tiene conto delle realtà economiche affrontate da questi aeroporti che hanno comunque  costi fissi infrastrutturali molto elevati e non possono contare su economie di scala il che mette in discussione la loro sostenibilità finanziaria.

Sebbene ACI EUROPE riconosca che questa problematica esista da decenni, afferma che la situazione è stata aggravata dai cambiamenti strutturali nel mercato dell’aviazione dopo il COVID, così come dall’impatto imminente della legislazione climatica dell’UE “Fit for 55”.

Benchè l’obiettivo di ridurre le emissioni dell’aviazione sia fondamentale, “le nuove normative incideranno in modo sproporzionato sugli aeroporti piccoli, aumentando i costi operativi e rendendo il trasporto aereo più costoso sulle rotte meno frequentate. Le compagnie aeree, in particolare quelle low-cost che servono molti aeroporti regionali, trasferiranno questi costi ai passeggeri, portando a una riduzione della domanda”.

Il tutto sommato alle normative sulla sicurezza aerea e alla proliferazione delle tasse sull’aviazione, un mix che rende gli  aeroporti con meno di tre milioni di passeggeri all’anno dipendenti da aiuti statali per coprire il deficit dei costi operativi.

Secondo ACI EUROPE la soglia per ricevere tali aiuti potrebbe essere ridotta a un milione di passeggeri all’anno per evitare comunque di danneggiare la coesione economica e sociale in tutta Europa aggravando in particolare il divario tra le aree metropolitane ben collegate e le regioni che dipendono dal trasporto aereo per la loro sostenibilità economica.

Esiste per altro un forte legame tra connettività aerea e crescita del PIL (un aumento del +10% della connettività aerea diretta comporta un aumento del +0,5% del PIL pro capite), e mantenere gli aiuti operativi rappresenta una necessità strategica per il futuro economico dell’UE.