Quanto è difficile fare il “Paziente”

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Faccio il lavoro più bello del mondo! Duro, impegnativo e con un carico di responsabilità molto elevato. Ogni volta entro in contatto con settori nuovi, gente nuova e scopro motivazioni sempre diverse che spiegano i punti di forza o le criticità di una azienda … Tutto questo, in sintesi, è lavorare nella Customer Experience. Essere un ricercatore vuole dire scoprire cose nuove, sia se si faccia ricerca in medicina o in tecnologia, ovvero nel marketing.

Recentemente ho presentato i risultati di una campagna di Customer Experience (meglio definirla patient experience poichè parliamo di pazienti) per una rete di cliniche odontoiatriche con Head Quarter a Firenze e Centri Master in tutte le grandi città italiane.

I centri sono di proprietà del Dottor Francesco Saverio Martelli, un luminare in tema di cura della parodontite (volgarmente detta piorrea), patologia che colpisce i denti, con danni irreversibili; almeno questa era la sintesi della conoscenza di questa malattia per me, come per altro per tutto il mio entourage più stretto; ho sempre sentito parlare sin da ragazzino di questa piorrea come un progressivo distacco delle gengive dai denti, di dolori anche molto forti, di impossibilità nel mordere o masticare il cibo, fino alla necessità di dover togliere i denti colpiti dalla patologia.

 

La PARODONTITE si può curare? Abbiamo tantissimi pazienti a cui chiederlo.

La Campagna di Experience è stata finalizzata a comprendere tutta l’esperienza vissuta dal paziente durante il suo viaggio (patient journey), stavolta non finalizzato ad un acquisto di un prodotto ma un viaggio dalla scoperta della malattia ad una speranza di cura. E così vengo a conoscenza dell’esistenza di un protocollo terapeutico per la cura della parodontite, tramite l’utilizzo simultaneo di strumentazione al laser di alta tecnologia e terapie a base di vitamina D.

Il modello di rilevazione delle esperienze che utilizziamo è semplice: ascoltare il cliente (paziente), principalmente al telefono affiancato da un campione di controllo statistico, intervistato personalmente.

 

Il Paziente: una persona da proteggere

Vorrei uscire dai tecnicismi legati agli indicatori di Cx ed ai risultati finali della ricerca, raccontandovi più nel dettaglio degli aspetti emotivi che mi hanno fatto prendere coscienza di fenomeni inquietanti ed allarmanti, per certi versi anche tristi e disarmanti vissuti dai pazienti in questa fattispecie. 

L’aspetto più controverso e imbarazzante che ho vissuto durante i racconti personali, è stato il modo con cui questi pazienti sono venuti a conoscenza della loro patologia; già, perché la parodontite si manifesta in modalità molto differenti e, troppo spesso, la superficialità del medico curante di base che non prescrivere subito le analisi diagnostiche corrette, unite alla scarsa professionalità di molti dentisti nel ricorrere subito alle estrazioni dei denti per tamponare il problema, ritardano la presa di coscienza da parte del paziente della vera causa delle loro sofferenze …

Non sono un medico, né un dentista; la mia professione è organizzare e condurre analisi di mercato, ma leggere le dichiarazioni di tantissimi pazienti, e ascoltare di persona i loro racconti dettagliati, coinvolgenti e sentiti, ti fa vedere le realtà in un modo diverso, ti fa prendere coscienza di come stanno effettivamente le cose, scevri da ogni condizionamento possibile. Il paziente, infatti, ti racconta come sono andate le cose… lo fa nel dettaglio e si fa comprendere bene quando le domande sono poste nel modo e al momento giuso.

La speranza di guarire

Ecco di seguito ciò che di inquietante abbiamo rilevato: un paziente con la patologia parodontale (più o meno manifesta) è perso, disorientato, lasciato a sé stesso ovvero “sfruttato”, con manovre ed interventi irreversibili (costosi e disumani), da parte di chi affronta il problema in maniera superficiale e non risolutiva, magari (aggiungo io assumendomi tutte le responsabilità), speculando sulla situazione di patologia… Ma come è possibile una cosa del genere?

Dimentichiamoci per un attimo il protocollo del dottor Martelli, e la possibilità di avere quantomeno una speranza concreta di guarigione, e concentriamoci sulla fase di pre-analisi (screening) e di diagnostica: ho visto persone piangere davanti a me nel raccontare che per anni si sono “sbattute” tra dentisti, medici di base, professionisti incapaci di diagnosticare la patologia o peggio di non aver prescritto analisi approfondite volte a comprendere le cause dei malesseri (anche latenti) che avrebbero potuto dare una speranza diversa di guarigione.

Ecco poi, una volta arrivati gli effetti più conclamati della malattia ed inquadrata la problematica, il secondo ciclo di “mala” informazione con i consigli (o meglio le sentenze) di parenti o amici e degli stessi medici (o professionisti tali): “tanto non ci si può fare nulla! Il dente è andato … dobbiamo toglierlo”  

Una % altissima di pazienti intervistati, hanno dichiarato di aver vissuto questo vero e proprio Calvario!

Ma perché da un lato la medicina fa passi da gigante e dall’altro ancora si ragiona in maniera “giurassica”, retrograda, per consuetudini, per modelli obsoleti? È incredibile ed assurdo ascoltare queste dichiarazioni: “… il mio medico di base non voleva prescrivermi le analisi perché mi ha detto che erano inopportune e costose, alla fine le ho fatte da sola e ho scoperto di avere la parodontite …”  

altri: “ho girato diversi dentisti, nessuno ha approfondito il problema… e tutti toglievano un dente… mentre tutti i miei denti potevano essere curati!”  ancora molti altri: “il medico ha detto che la parodontite non si cura e di diffidare da chi dice che si può curare!!! …” ancora: “… Nessuno mi ha detto di fare queste analisi… ma perché in questi casi e con questi sintomi, tutti i medici dentisti non vengono informati che obbligatoriamente devono prescrivere questa diagnostica…?”

Potrei andare avanti per molto ancora, riportando altre dichiarazioni come sopra provenienti non da uno, due o dieci pazienti, ma dalla maggioranza degli intervistati, da Nord a Sud del Paese… E ne abbiamo intervistati più di 3.000.

 

Medici “più” al passo con i tempi

Mi voglio fermare qui, a questa considerazione più etica e morale, poiché non è possibile che più del 60% dei pazienti abbia rappresentato un ritardo dovuto a metodi e conoscenze retrogradi da parte della nostra prima linea di medici di base e da buona parte dei nostri medici dentisti! Magari è la normalità questa? Forse accade lo stesso per molte altre patologie? In questo caso a noi è parso un vero e proprio coro unanime, ed il mimino che posso fare è raccontarlo in questo scritto.

Concludo con una ultima considerazione: da persona esterna alla sofferenza vissuta da tanta gente, mi è venuto spontaneo chiedere ai pazienti intervistati, il perché non fossero tornati da quei medici di base o da quei dentisti, risentiti di qualcosa che poteva essere diagnosticato prima… Tra tante risposte molto simili tra loro, riporto questa di una signora di mezza età, molto dignitosa: “…ho risolto il problema o comunque ho ritrovato la speranza di una cura efficace! Ho talmente tanta gioia e voglia di tornare a vivere, che ritornare da chi ha fatto male il proprio mestiere, per ignoranza o per scarsa professionalità, vorrebbe dire perdere del tempo prezioso verso chi non lo merita…

… lezione di vita indimenticabile ….

 

Giovanni Ricci

 

 

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