Analisi critica dell’”algoritmo Conte” che guida la riapertura

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Analisi critica dell’”algoritmo Conte” che guida la riapertura

Come molti sanno, i decreti sulla FASE 2 sono stati guidati da modelli elaborati dagli esperti (ISS e non solo). Uno dei risultati più interessanti è il documento allegato proprio agli ultimi decreti, definito da alcune agenzie di stampa “L’algoritmo Conte” (AGI, 28 aprile).  Il Corriere della Sera lo riassume con il seguente titolo: “Coronavirus, cosa succederebbe in Italia se si riaprisse tutto? «Fino a 151 mila persone in terapia intensiva» La relazione riservata del comitato tecnico scientifico che ha spinto il governo a varare una fase 2 «limitata» prevede, nel caso in cui si riapra tutto troppo rapidamente, un aumento esponenziale dei ricoverati nelle terapie intensive” (Corsera , 28 aprile)

Come ricercatori abbiamo trovato la lettura molto interessante, non solo dal punto di vista scientifico. L’impressione che ne abbiamo ricavato è la seguente: sembra in atto una “dialettica” (se lotta è troppo da titolista complottista) fra esperti e politica per evitare che – nel caso succeda qualcosa di critico – qualcuno possa incolpare l’altro di aver espresso posizioni avventuriste sul tema della riapertura.  Non siamo soli al mondo: il dibattito sulla necessità di una politica coraggiosa e sul confine fra politica coraggiosa e avventurista è vivace anche in altri paesi.

 

Un modesto tentativo di fact checking della modellistica usata dal governo

Non pretendiamo qui di riuscire ad analizzare tutti gli aspetti del modello, ci vorrebbe una attività di ricerca che va ben oltre quello che può interessare l’eventuale lettore di questa breve nota. Ci limitiamo qui a commentare alcuni passaggi soprattutto sulle premesse e l’impatto sui risultati del modello statistico, sulla base dei dati di cui siamo a conoscenza.

  1. il modello presuppone che a fine aprile gli italiani già infettati fossero il 3% (solo la Lombardia al 10%; Doc. Gov fig 6 pag.6). Come è noto non esistono stime precise visto che uno screening di massa su popolazione sana non è mai stato fatto. Le stime più attendibili da fonte medica davano una stima dei contagi effettivi fra il 10% ed il 18% della popolazione (NDR: 6-11 milioni di persone; al tempo dell’elaborazione del modello i dati ufficiali di Protezione Civile parlavano di circa 100mila persone, oggi siamo a 200mila come è noto). Ci riferiamo ad esempio al modello dell’Imperial College Londra. Il Corriere della Sera, il 31 marzo, citando lo studio scriveva: In Italia, i risultati suggeriscono che, cumulativamente, 5,9 [1,9-15,2] milioni di persone sono state infettate al 28 marzo, con un tasso di attacco… del 9,8% della popolazione».  Stimare dunque un 3% di italiani contagiati (e dunque con qualche forma di immunità) significa prudenzialmente sottostimare da 3 a 6 volte la resistenza già maturata nella popolazione. In questo modo, con questa assunzione prudenziale, il modello sovrastima gli effetti critici di una riapertura, come se ipotizzasse che ad una riapertura quasi tutti si potessero riammalare. Tutto è possibile, ma non esistono evidenze scientifiche.

Fact checking : in quanto stima prudenziale non è falsa in sé, solo eccessivamente pessimistica (ed in contrasto con altre informazioni disponibili). Di conseguenza genera ipotesi di impatto sanitario di ogni riapertura totale o parziale molto più critiche del dovuto.

 

  1. Il modello stima che l’utilizzo dei DPI e delle pratiche di distanziamento sociale abbattano – nei fatti – il rischio di contagio “al massimo” del 15 o del 25% (invece del 75% ritenuto normale, stima che sale al 95% in situazioni di utilizzo rigoroso, “ospedaliero”). Significa che tutto quello che stiamo facendo (mascherina, guanti, distanze, code ai negozi e sui mezzi pubblici, etc.) viene valutato non in grado di frenare il contagio nell’85% dei casi. Questo è il passaggio del documento ufficiale alle conclusioni (pagina 21): “In particolare, gli scenari compatibili con il mantenere R0 sotto la soglia di 1 sono quelli che considerano la riapertura dei settori ATECO legati a edilizia, manifattura e commercio correlato alle precedenti attività e assumendo un’efficacia della protezione delle prime vie respiratorie nel ridurre la trasmissione di COVID-19 del 25%. Ci sono però delle incertezze sul valore dell’efficacia dell’uso di mascherine per la popolazione generale dovute a una limitata evidenza scientifica, sebbene le stesse siano ampiamente consigliate; oppure variabili non misurabili, es. il comportamento delle persone dopo la riapertura in termini di adesione alle norme sul distanziamento sociale ed utilizzo delle mascherine e l’efficacia delle disposizioni per ridurre la trasmissione sul trasporto pubblico.”

Che dire?  Nell’assenza di “evidenza scientifica” nei modelli si stima l’impatto modesto di tutto quello che stiamo facendo. Come dire: nessuno si fida degli italiani, nemmeno loro stessi.

Ma ancora una volta, se per caso gli italiani ed i loro sforzi fossero migliori (per prudenza in generale) di come qui vengono dipinti e l’efficacia delle pratiche e dei DPI invece del misero 15-25%, salissero a percentuali maggiori, le stime dei modelli ed i rischi calcolati si dimezzerebbero. Lo si evince chiaramente anche dalle ipotesi presentate nel modello. Le simulazioni dell’”algoritmo Conte” dicono che se i DPI e le pratiche di contenimento invece di funzionare al minimo (riduzione di un modesto 15% del rischio) già funzionassero al 25% (stima comunque molto prudenziale): saremmo a posto, l’epidemia si fermerebbe da sola.

Fact checking : anche in questo secondo caso è legittimo – benché curioso – che gli esperti si mostrino più prudenti, non credendo né a quanto hanno imposto agli italiani né agli italiani stessi. Sarebbe stato utile che nelle elaborazioni del modello entrassero anche ipotesi più ottimistiche che avrebbero ovviamente potuto orientare il livello politico verso modelli di riapertura totale o parziale “più coraggiosi”, contando maggiormente sulla popolazione, soprattutto quella delle regioni più colpite, che in quanto a senso civico e responsabilità non sembra maldisposta.

 

L’analisi potrebbe andare avanti, perché nell’”algoritmo Conte” sembrano esserci altri spunti interessanti:

  1. l’impatto di un lock down sulle scuole (tenerle chiuse fino a settembre, ad esempio) sembrerebbe maggiore delle limitazioni imposte alla popolazione matura e degli stessi modelli di riapertura di bar, hotel e ristoranti.
  2. di conseguenza, anche politiche di segregazione per età sembrano limitate negli effetti, a parità di altre condizioni.
  3. un aspetto che sembrerebbe sottovalutato dal modello matematico (ma che viene citato qui e là nel documento) è l’impatto della vita in comunità. Come è noto le comunità (le più varie: Rsa, ospedali, navi da crociera e carceri) hanno rappresentato un veicolo poderoso di concentrazione del contagio, in grado di diffondere epidemia e decessi. Il modello sembrerebbe distribuire sul normale cittadino anche una quota del rischio “comunitario” (vivere per un periodo prolungato in una comunità chiusa con condivisione prolungata di spazi). Il modello considera solo due ipotesi classiche di comunità, scuola e lavoro (che sono comunque comunità parziali, a tempo), ma non le altre. Il “rischio comunitario” di RSA, Ospedali, carceri, etc. appare ben più elevato, come dimostrano purtroppo i dati di contagio e mortalità. Se così fosse, attribuire una quota del rischio delle comunità chiuse al normale cittadino (espandendolo a 60 milioni di adulti) significa ancora una volta fare ipotesi pessimistiche e molto prudenziali (ovvero calcolare rischi anche là dove potrebbero non esserci).

Riassumendo dunque, il documento degli esperti del governo appare interessante, anche se parziale. Le sue conclusioni sono in fondo dotate di un certo pragmatismo, al di là del bagno di prudenza politica in cui il modello stesso è purtroppo immerso. Ancora una volta, in questa crisi, il rischio sanitario (sovrastimato dal modello e dalle news che lo hanno accompagnato) pesa di più del rischio economico e sociale (sotto gli occhi di tutti). Questo balance è una posizione peculiare dell’Italia, non si riscontra altrove.

In sé il documento ed il modello potrebbero anche essere migliorati e resi più fruibili, per una reale democrazia della scienza ed una doverosa accountability politica (dimostrare ai cittadini il perché e le conseguenze di azioni politiche alternative, ad esempio).

Il modello mostra alcuni scorci degli scenari possibili e immaginiamo che le simulazioni possano essere molte di più di quelle presentate ufficialmente. Questo apre un tema caldissimo: cambiando le premesse emergerebbero policy diverse. Se ci fossero forze sociali e politiche interessate a capire quali conseguenze a fronte di premesse diverse potrebbero proporre scenari diversi e politiche diverse. Sarebbe opportuno rendere pubblico il modello matematico e le basi dati e consentire a tutti di lavorare sul modello stesso, migliorandolo. Un esercizio critico rende il dibattito più utile oltre che più interessante.

Per questo ci vorrebbe anche una stampa più dotata di senso critico. Come sappiamo bene, spesso, non sono gli eventi e le news ad essere “fake” di per sé. È l’accettazione critica delle premesse che genera potenziali “fake news”, anche involontarie. Lanciare titoli in modo forte sulle ipotesi estreme – ad esempio quelle immaginate dal modello – senza capirne a fondo il senso ed i limiti, non è fare del buon giornalismo. Rischia, purtroppo, anche involontariamente, di diventare “terrorismo sociale” ampliando un uso socialmente strumentale della scienza. La politica (come la scienza) ha già abbastanza imperfezioni, bastano le sue.  Non siamo i soli ragionare diversamente, per fortuna. Qui un bell’articolo sull’argomento dal sito l’Inkiesta.it :  https://www.linkiesta.it/2020/04/errori-calcolo-documento-comitato-tecnico-scientifico-fase-due/ . Lunedì si riapre, incrociamo le dita e speriamo nello stellone italico a questo punto.  In bocca al lupo a tutti noi, esperti e governo inclusi.

 

Milano, 1° maggio 2020

© Fornezza | Research Dogma 2020

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