Domani Mattarella scioglie le camere… se vuole lasciare il Colle.

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Interno giorno, Quirinale. Nella Sala degli Specchi Sergio Mattarella gioca con la più bella pistola della sua collezione. In canna un solo colpo. Il primo comma dell’articolo 88 della Costituzione: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.” Se foste al cinema e vedeste nelle prime scene del film una pistola, statene certi, quella pistola prima della fine della pellicola sparerà.

Ma non siamo al cinema. E non siamo neanche alle prime scene di questa storia, iniziata in realtà quasi sette anni fa. Siamo invece esattamente a sei mesi e tre giorni dal suo epilogo. E il presidente della repubblica, già presidente della corte costituzionale, conosce perfettamente la carta e sa che il secondo comma dell’articolo 88 della costituzione renderà fra pochi giorni quel colpo in canna un inutile colpo a salve: “Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura”.

Il potere a volte scivola via come i granelli di sabbia dal palmo della mano. Fra poco non ne resterà alcunché. E Mattarella sembra inclinare di proposito la sua mano. Non sembra preoccuparsene di restare senza, anzi. Così il 3 agosto il paese entrerà nel semestre bianco. Quella particolare frazione di tempo della politica caratterizzata dall’impedimento costituzionale, un vero unicum previsto dal nostro ordinamento, che spoglia il presidente della repubblica del potere di sciogliere le camere e riportare il corpo elettorale al voto per scegliere i nuovi parlamentari e con essi dare vita a un nuovo esecutivo. Lo scioglimento delle camere resta il potere più politico in mano all’istituzione meno politica del sistema. La presidenza della repubblica fu concepita dopo la dittatura come garante dell’equilibrio democratico, arbitro della disputa fra i partiti, ma priva di leve esecutive. E il semestre bianco fu l’escamotage per impedire ai futuri inquilini del Quirinale di avere ambizioni di prolungare la propria permanenza al Colle attraverso l’elezione di nuove camere favorevoli alla loro rielezione.

Ma la storia spesso è beffarda è così per la seconda volta nella storia repubblicana ci troviamo nella condizione che saranno probabilmente le camere nel pieno delle loro funzioni a pregare il presidente della repubblica in carica di proseguire il proprio mandato, almeno in quota parte. Fu così con la seconda presidenza di Giorgio Napolitano. Potrebbe essere così nel gennaio 2022 per Sergio Mattarella. Quando nel pieno dell’attuazione del PNRR il governo Draghi sarà chiamato a reggere l’urto della frenesia dei partiti di scegliersi l’arbitro più confacente alle loro istanze e di parte di essi di andare, una volta eletto il nuovo presidente, al voto per incassare il consenso elettorale registrato in quel momento dai sondaggi.
 
La pandemia ci ha regalato dopo la fase dell’esecutivo della paura sanitaria, un esecutivo di unità nazionale, che oltre a tentare di gestire l’emergenza svolge il compito politico di deresponsabilizzare i partiti dall’intestarsi quelle scelte impopolari che non potrebbero giustificare al proprio elettorato e che pure devono essere compiute per salvare il sistema.   Lo schema del voto favorevole in consiglio dei ministri in parlamento e distinguo in piazza è possibile solo con un esecutivo così eterogeneo e guidato da un tecnico senza tessere di partito. Ultimi esempi sono quelli  del green pass e della riforma della giustizia.  

A differenza del Ciampi che dopo averci portato in Europa ebbe il riconoscimento dei partiti con l’elezione al Quirinale, nel gennaio del 2022 Draghi non potrà aver già chiuso la sua gestione esecutiva e ricevere il più alto attestato politico. Perché probabilmente la pandemia sarà ancora in atto con i suoi strascichi e soprattutto i fondi del Recovery Plan saranno ancora ben lungi dall’essere allocati e spesi, con il rischio che il nuovo esecutivo  nato dalle inevitabili elezioni dopo la sua eventuale nomina al Colle, possa allentare la tensione sull’esecuzione del piano, così da vedere fallire la fase di realizzazione e correre il rischio di dovere rimandare indietro quota parte dei 209 miliardi ottenuti dall’Europa.

Dunque Mattarella potrebbe doversi sacrificare per proteggere il suo ultimo capolavoro politico: la nascita del governo Draghi. Proprio per consentirgli di avere un ulteriore anno di tempo per stringere i bulloni del piano, approvare tutte le riforme necessarie per vedersi confermati i fondi (giustizia, pubblica amministrazione, concorrenza e fisco) e mandare al voto un paese più sereno, in una fase dove si spera la pandemia sia finita e gli effetti della ripresa possono soffocare le proposte politiche estremiste e qualunquiste.

 

Interno sera, Quirinale. Guardandosi in uno degli specchi Mattarella pensa che forse quel colpo in canna prima del 3 agosto andrebbe sparato. Del resto sarebbe l’unico modo per avere la certezza che nessuno poi gli possa chiedere o gli voglia chiedere di restare un altro po’ lì sul Colle più alto di Roma a guardare quest’Italia che arranca eppure va.

Ma come detto non siamo in un film. 

 

Antonello Barone

 

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