Il ricatto nucleare di Putin blocca la NATO: solo sanzioni

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Gli Stati Uniti, la NATO e l’Unione Europea hanno deciso che non si può fare la guerra a Putin. Non si può mettere a rischio il pianeta. Una dichiarazione belligerante della Nato contro il Cremlino attraverso un atto di difesa attiva dell’Ucraina vorrebbe dire escalation nucleare. Putin ha minacciato di rappresaglie inimmaginabili gli stati che si azzardassero a osare tanto e la NATO e Biden hanno subito sgombrato l’intervento militare dalle ipotesi sul tavolo.

Kiev e il suo popolo non valgono tanto. L’occidente democratico ha deciso di seguire una strategia attendista: pressioni diplomatiche e sanzioni finanziarie al massimo livello contro Putin e gli oligarchi russi da un lato e aiuti economici, supporto umanitario attraverso l’accoglienza dei profughi dentro i confini dell’Unione Europea, sostegno di intelligence e invio di armamenti militari attraverso una piattaforma logistica in Polonia all’Ucraina.

Una dottrina anti interventista che probabilmente la NATO aveva messo in conto da tempo attendendo sia la guerra di aggressione di Putin, ma anche la conseguente caduta di Kiev in pochi giorni.

Al momento l’invasione c’è stata come previsto dalle intelligence americana e britannica. Ma l’Ucraina ha resistito più delle previsioni russe, ma anche più della aspettative dei governi occidentali. Una resistenza che ha fornito il tempo necessario per modificare la narrativa e il significato che questa guerra reca con sè.

Il cambio di regime a Kiev atteso da tutti gli analisti e strateghi militari non vi è stato. Questi nove giorni di guerra hanno scosso le opinioni pubbliche mondiali e in particolare quelle democratiche. La guerra di Putin è divenuto lo spartiacque della storia contemporanea. L’Ucraina è salda, nonostante le migliaia di morti militari e civili, il milione di profughi in fuga, i bombardamenti nei centri cittadini, gli assalti alle centrali nucleari, dietro un presidente che si è rivelato la vera arma segreta di questo popolo fiero.

Un popolo che appare pronto al sacrificio estremo pur di difendere la propria sovranità e il diritto di scegliere quali alleati avere e in quale tipo di sistema sociale vivere. Un popolo che nel 2014 ha vinto la sua rivoluzione di piazza. Un popolo che ha scelto la democrazia e l’Europa. Che ha scelto di scacciare un presidente filorusso che fece di tutto per evitare l’ingresso del suo paese nell’UE. Oggi per quella scelta di coraggio subisce la vendetta di Putin, artefice di una guerra di aggressione violenta e criminale nel cuore d’Europa.

I teorici delle relazioni internazionali condannano la guerra, ritenuta insensata, di Putin. Ma offrono alibi al dittatore russo. Sottolineano l’ingordigia dell’occidente, voglioso di allargare la propria sfera di influenza troppo ad est dopo il disfacimento dell’impero sovietico. Richiamo le analisi di Kissinger e di altri dotti strateghi. Eppure banalmente quello che sta accadendo va oltre le raffinate teorie geopolitiche. Gli studiosi e realisti semplicemente non considerano che a volte nella storia intervengono scelte che non vengono fatte per difendere interessi generali e salvaguardare un qualche equilibrio mondiale predefinito ritenuto utile al benessere generale. A volte la storia viene stravolta da semplici scelte individuali di donne e di uomini che guardano al proprio particolare interesse e a quello dei propri figli.

C’è un popolo che ha conosciuto la dittatura sovietica e che ha scelto dopo la caduta del muro di Berlino, con fatica di fare un percorso per godere della libertà, della democrazia, dei diritti di una società aperta. Proprio quei diritti, quella libertà e quella democrazia che noi godiamo dal 2 giugno 1946 grazie al sacrificio di tanti giovani in armi: partigiani e soldati americani e inglesi.

Gli ucraini come quei ragazzi nati negli anni venti del secolo scorso hanno scelto di difendere quello che noi diamo per scontato e che forse non siamo neanche più disposti a proteggere. Loro invece hanno deciso di difendere la libertà. Preferiscono morire piuttosto che essere dominati da un dittatore capace di crimini di guerra contro un popolo che ingannevolmente chiama fratello. Un dittatore che al suo stesso popolo toglie ogni forma di libertà di manifestazione del pensiero, di parola, di dissenso. Un dittatore che isola e sprofonda il proprio popolo nel silenzio digitale oscurando i social network più popolari.

Contro l’idea di società che Putin realizza in Russia Kiev è il nostro baluardo. Kiev combatte la guerra che noi non siamo disposti a combattere. Per quanti giorni ancora potranno resistere? Quanti morti civili dovranno ancora contare? Quanti profughi dovranno lasciare il paese dei girasoli?

Chi oggi invoca la pace imposta agli ucraini difende solo il privilegio delle proprie libertà anche a scapito del loro futuro. Perché la via diplomatica deve concedere qualcosa o molto a Putin e inevitabilmente sarà costruita sulle rinunce territoriali e sulla mancata prospettiva di autodeterminazione del popolo ucraino.

L’occidente è disposto a questo esito. Perché il rischio di un conflitto nucleare lascia come unica strategia percorribile quella dello sfaldamento interno del potere di Putin. La scommessa occidentale si fonda sulla speranza che Pechino non fornisca alla Russia il sostentamento economico necessario per resistere all’isolamento finanziario imposto dalle sanzioni. Ma sperare di evitare che Putin conquisti Kiev senza una deterrenza militare è un vero azzardo. Conquistata l’Ucraina Putin potrà aprire la trattativa diplomatica internazionale da una posizione di forza, con l’obiettivo di stabilire un nuovo equilibrio mondiale nel quale la sfera di influenza della Russia e della Cina sarà salda anche dentro i confini dell’Europa orientale e sugli sbocchi marittimi europei. 

 
Un ritorno al 1989. 
 
 
Antonello Barone, 5 marzo 2022
 
 
 
 
 
 

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