L’Italia è da riseminare

L’emergenza nata dalla guerra apre spazio a nuove frontiere dell’agricoltura

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Al via le semine di primavera in Italia con gli agricoltori che spingono sulle produzioni di soia (+16%), mais (+1%) e girasole (+5%) per fare fronte al caro prezzi e garantire le forniture alimentari alle famiglie dopo gli sconvolgimenti dei mercati mondiali determinati dalla guerra in Ucraina.

E’ quanto emerge dall’analisi “Short term outlook” della Commissione Ue sui mercati agricoli nel 2022 che evidenzia una ripresa delle coltivazioni nonostante l’impennata dei costi a causa dei rincari di sementi, fertilizzanti e gasolio necessari per le operazioni colturali con circa 1/3 delle aziende nazionali (30%) che si trova costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo.

La semina è un momento importante per contrastare gli sconvolgimenti in atto sui mercati mondiali con l’aumento congiunturale record dei prezzi dei prodotti agricoli del 12,6 % rilevato dal paniere della Fao ma anche la preoccupante carenza di forniture provenienti da Russia e Ucraina dalle quale arrivavano – secondo l’ultima analisi della Coldiretti – complessivamente in Italia il 13% delle importazioni di mais e il 4,2% di quelle di grano e ben il 60% dell’olio di girasole, secondo il centro studi Divulga.

Stando alle proiezioni della Ue il raccolto italiano di soia, destinata all’alimentazione degli animali, dovrebbe superare il milione di tonnellate su oltre 290mila ettari coltivati, quello di girasole sfiorerà le 300mila tonnellate su 122mila ettari mentre la produzione di mais sarà di oltre 6,1 milioni di tonnellate su più di 600mila ettari a livello nazionale, nonostante l’emergenza siccita’ che continua ad interessare importanti aree del Paese a partire dalla pianura padana.

Un trend favorito anche dal via libera dell’Unione europea alla semina in Italia di altri 200mila ettari di terreno per una produzione aggiuntiva di circa 15 milioni di quintali di mais per gli allevamenti, di grano duro per la pasta e tenero per la panificazione, in modo da ridurre la dipendenza dalle importazioni dei principali prodotti agricoli in Italia e nell’Unione Europea.

Va peraltro segnalato che tra pochi mesi inizierà la raccolta del grano seminato in autunno in Italia e secondo l’Istat si stimano 500.596 ettari a grano tenero per il pane, con un incremento dello 0,5% mentre la superfice del grano duro risulta in leggera flessione dell’1,4% per un totale di 1.211.304 ettari anche se su questa prima analisi pesano i ritardi delle semine per le avverse condizioni climatiche che potrebbero portare a rivedere il dato al rialzo.

Un trend che contribuisce a ridurre la dipendenza dall’estero in una situazione in cui l’Italia è diventata deficitaria in molte materie prime e produce appena il 36% del grano tenero che serve per pane, biscotti, dolci, il 53% del mais per l’alimentazione delle stalle, il 56% del grano duro per la pasta e il 73% dell’orzo.

L’Italia in particolare è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati.

Uno shock dei mercati mondiali con Russia e Ucraina che rappresentano il 16% degli scambi di mais (30 milioni di tonnellate) e il 65% delle vendite di olio di girasole (10 milioni di tonnellate) con una impennata dei prezzi di materie prime ed energia che sta mettendo in difficoltà l’Unione europea. Un terremoto che si è abbattuto anche sulle aziende agricole italiane con rincari delle spese di produzione che vanno dal +170% dei concimi al +129% per il gasolio con incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro in media, secondo lo studio del Crea dal quale si evidenzia che ad essere più penalizzati con i maggiori incrementi percentuali sono proprio le coltivazioni di cereali come il mais.

Ma a sostegno del comparto agricolo c’è un altro aspetto da non sottovalutare: gli effetti della guerra si fanno sentire sulle imprese dell’agricoltura, silvicoltura e pesca a cui è destinato il 5,5% del totale dei prestiti bancari per un totale di 41 miliardi di euro. È quanto afferma la Coldiretti sulla base dei dati Abi in riferimento al Def nel sottolineare che per garantire la sostenibilità finanziaria delle imprese occorre prevedere misure in favore del settore agricolo per contenimento dei costi dell’energia, strumenti di accesso al credito e garanzie ma anche norme per semplificare e sbloccare tutte le risorse già stanziate per il settore.

Più di 1 azienda agricola su 10 (11%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività ma ben circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi, secondo gli ultimi dati di settore elaborati dal Crea.

Lorenzo Palma, 23 aprile 2022

 

 

 

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