Solo uniti si vince

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Solo uniti si vince

“Qualunque sia il tempo, noi raggiungeremo il benessere soltanto insieme”

Si parla tanto di Europa in questi momenti, a volte correttamente altre meno; spesso si tocca il tema della solidarietà tra Paesi che dovrebbero essere amici e non sempre lo sono nei fatti, a parole è facile.
 
Quindi nel numero di oggi parliamo di uno dei tanti fatti della Storia, quella con la S maiuscola.

E proprio perché soltanto uniti a livello europeo usciremo vincenti da questa difficile e complicata avventura mi piace riportare qui un famoso spezzone di un film da sempre usato nelle occasioni in cui si vuole stimolare il “gioco di squadra”;  il film è Ogni maledetta domenica e lui è il grande Al Pacino:

“Tutto si decide oggi, ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, fino alla disfatta…)

In queste ultime settimane più volte abbiamo sentito ricorrere questa frase: “ci vorrebbe un nuovo Piano Marshall per risolvere i problemi dell’Europa”. Ma cos’è stato in realtà il vero Piano Marshall (ne ho accennato a giugno dello scorso anno nel numero 67)?

La storia parte dalla fine della seconda guerra mondiale da cui l’Europa intera esce devastata; la tragedia non è solo umanitaria ma anche economica: fabbriche distrutte, tessuto economico e finanziario a pezzi, consumi ridotti all’osso.

Il 5 giugno del 1947, l’allora segretario di Stato statunitense George Marshall, annunciò al mondo la decisione degli Stati Uniti di varare un piano di aiuti economici e finanziari per l’Europa, piano che sarebbe poi divenuto noto appunto come Piano Marshall.

Marshall affermò che l’Europa avrebbe avuto bisogno – per un periodo di almeno 3-4 anni – di ingenti aiuti da parte degli Stati Uniti, in mancanza dei quali il vecchio continente sarebbe andato incontro a una gravissima crisi e a un deterioramento delle condizioni politiche, economiche e sociali.

Lo European Recovery Program previde uno stanziamento di oltre 12 miliardi di dollari per un periodo di 4 anni e i Paesi Europei utilizzarono i fondi per acquistare beni di prima necessità, prodotti industriali, combustibile, macchinari e mezzi di produzione.

Il Piano terminò nel 1951 e consentì all’economia europea di superare il momento di crisi post-guerra e favorì una ripresa che fu evidente sin dai primi anni e permise di tornare ai livelli di produzione antecedenti la guerra già alla fine del Piano. I risultati furono positivi sia dal punto di vista economico che politico, consentendo ai paesi europei di superare le tensioni e i conflitti che da sempre avevano caratterizzato la loro storia, di stabilizzare le democrazie nascenti e di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni.

In effetti oggi ci sarebbe bisogno dello stesso spirito costruttivo e dello stesso slancio emotivo per consentire alle nazioni europee di superare questo difficile momento – sanitario prima ed economico poi – indotto dalla pandemia del covid-19.

Solo uniti si vince
 

 

Cosa ci hanno insegnato le ultime settimane?

Intanto che pensare di vaticinare il futuro è operazione sempre difficile: nessuno, ancora a metà febbraio, poteva immaginare che l’epidemia – scoppiata in Cina – potesse arrivare in Europa e nel resto del mondo in maniera così veloce e virulenta.

Altra considerazione, la velocità con cui la paura del contagio si è trasformata in paura e poi panico sui mercati finanziari; i tanti anni di politiche monetarie accomodanti hanno modificato le aspettative degli investitori riguardo le oscillazioni dei mercati; le hanno anestetizzate a dire il vero, è passata la convinzione che sui mercati non potesse più arrivare la volatilità – estrema – vista a marzo.

Ultima considerazione, nonostante in quei giorni scendesse tutto, è stata confermata la teoria per cui rimanere investiti è meglio che fare dentro e fuori dai mercati perché i migliori rialzi spesso seguono proprio le giornate più negative (v. nel grafico sotto come le barre, più o meno ampie in base alla percentuale di oscillazione, verdi e rosse, si susseguono; dopo giorni di forte negatività c’è spesso rimbalzo della stessa intensità).

 

Solo uniti si vince
Solo uniti si vince

 

La storia è nota (anche se oggi voglio raccontare la versione italiana) ed è quella  narrata da Alberto Foà, all’epoca gestore di uno storico fondo azionario internazionale. In un’intervista Foà parlava appunto dei rendimenti notevoli del fondo da lui gestito, che aveva avuto un rendimento medio dell’11% negli ultimi 10 anni.
Purtroppo soltanto un risparmiatore su dieci (10%) aveva potuto beneficiare dei rendimenti del fondo; tutti gli altri, a causa delle operazioni di acquisto e vendita sbagliati (cioè effettuati nei momenti meno opportuni) non avevano portato a casa quell’11% nonostante avessero in mano uno strumento efficiente. Addirittura il 50% dei sottoscrittori ha portato a casa un rendimento negativo (nello stesso orizzonte temporale in cui al fondo ha riportato l’11% badate bene).

“È come dire che erano tutti passeggeri che andavano a 40 all’ora su un treno che viaggiava a 90 all’ora!”, la triste chiosa di Foà.

 

La frase della settimana: “I prossimi 1.000 punti di oscillazione del Dow Jones potrebbero essere al rialzo o al ribasso, ma se mi domandate come saranno i prossimi 10.000 allora saranno solo al rialzo!”
–  Peter Lynch

 

Oggi tutti vorrebbero avere azioni Amazon; ma – viste le reazioni ad un calo del mercato del 30% – chi avrebbe avuto la capacità di sopportare quello che successe nel 2000-2001 o nel 2008?

Solo uniti si vince

 

Massimiliano Maccari

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