Stagflazione? È un problema europeo

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Ricordate la teoria della “Struttura della Produttività” e la sua relazione col “populismo”, che ho spiegato nel mio articolo che trovate qui? Bene, è ora di risfoderarla per spiegare il perché con molta probabilità nei prossimi mesi avremo stagflazione (stagnazione economica e inflazione contemporaneamente) qui in Europa mentre non l’avremo (se non in misura leggera e di breve durata) negli USA.

Iniziamo. Come sapete c’è un’ondata inflattiva in tutto il mondo, dovuta principalmente all’aumento del costo delle materie prime spinte al rialzo dalla repentina domanda tornata a farsi sentire con forza con l’allentamento delle restrizioni da Covid, dall’aumento del costo del petrolio e carburanti fossili spinti al rialzo dalla rivoluzione ecologica mondiale che ha costretto molti produttori a riconvertirsi o a ridurre la produzione e conseguentemente a far sentire sul mercato il calo dell’offerta. 

Tutto questo ha portato conseguentemente ad aumento dei prezzi, e dai cosiddetti “colli di bottiglia” delle supply chains, cioè del sistema delle forniture alle aziende. Sostanzialmente, a causa della repentina ripartenza post Covid, molti fornitori mondiali non erano pronti a ripartire con lo stesso vigore e velocità di quando avevano mollato tutto per la pandemia, molti avevano chiuso, altri avevano ridotto e dismesso impianti ecc.; è un po’ come il vostro corpo e la vostra mente quando si risvegliano da un lungo sonno: sicuramente non sono subito reattivi agli stimoli esterni, bisogna aspettare un po’ prima che si riprendano.

Tutto ciò, dicono i banchieri centrali, non è così preoccupante, finirà presto, proprio perché danno molta importanza all’ultima causa sopra citata, quella dei colli di bottiglia. E’ chiaro, dicono, che la situazione pian piano tornerà normale, proprio come il vostro corpo che alla fine si risveglia, nel caso dei più pigri magari a mezzogiorno, ma si risveglia!

Tuttavia ciò è vero ma, purtroppo, vale solo per gli USA, non per l’Europa.

L’altra volta nell’articolo, abbiamo spiegato che una politica “monetarista” espansiva (quale è stata quella della BCE prima del Covid e poi quella dell’Unione Europea dopo lo scoppio della pandemia, con il Recovery Fund e le altre misure espansive) NON è efficace in paesi come la Germania, la Francia e men che meno l’Italia (per citare i maggiori manifatturieri europei) se non la si accompagna con una manovra che faccia salire la produttività “disembodied” cioè in particolare, quella del lavoro.

Già prima del Covid, l’italiano Fabio Panetta, membro del consiglio direttivo  BCE, diceva che non si stava ottenendo molto con il QE ed i bassi tassi di interesse praticati della Banca Centrale, e si stupiva di questo. Bene, il motivo, secondo la teoria della “Struttura della Produttività” descritta nel mio saggio*, è proprio riconducibile alla mancanza dello sviluppo di produttività “disembodied” in Europa, che continua ad essere scandalosamente trascurata dai suoi governanti.

Ed il motivo è semplice. L’aumento della produttività dei lavoratori si ottiene soprattutto con una formazione degli stessi sempre mirata ed aggiornata alle nuove tecnologie e, possibilmente, finanziata dallo Stato. E qui entra in gioco il Populismo (l’altro tema focale della teoria citata): attualmente in Europa tutti i governi dei maggiori paesi sono in difficoltà, non riescono a dare un colore politico preciso (destra o sinistra) alla loro azione perché la crisi pandemica li costringe a cercar di accontentare tutti, guai a chi si schieri apertamente su un lato, perderebbe rapidamente consenso.

Una manovra come quella dell’investire sulla formazione della forza lavoro è qualcosa di estremamente politico che richiede una politica forte, definita, perché tale misura non ha effetti immediati come li ha un investimento pubblico in infrastrutture (che crea subito occupazione e giro d’affari per le imprese): i risultati di un lavoratore formato li vedi minimo dopo un anno!

E per un governo in difficoltà, che sta in piedi con appoggi un po’ di destra e un po’ di sinistra nel nome dell’unità nell’emergenza pandemica (è così un po’ in tutta Europa al momento), capite bene che prendere decisioni nette con effetti troppo di là nel tempo può costare il crollo del consenso e quindi la crisi politica.

Insomma, senza soffermarci sul perché nei vari paesi si è arrivati a questo (non è questa la sede), sta di fatto che i governi europei si stanno comportando come farebbe un perfetto governo populista (né di destra, né di sinistra, senza direzione certa e definita). E il populismo, come spiego nel saggio, è la massima iattura economica che possa capitare ad una nazione.

Infatti, nei piani di resilienza (Recovery fund) dei paesi UE manca a tutti proprio un capitolo specifico sulla formazione mentre i piani si concentrano largamente sulle infrastrutture pubbliche, digitali e green, che danno immediato consenso politico ma che però senz’altro diventano inutili se non accompagnate da investimenti privati nelle nuove  tecnologie da parte delle imprese (e non lo stanno facendo, basta osservare che gli indici di Utilizzo della Capacità Produttiva europea hanno quasi raggiunto i massimi pre-pandemici, quindi non ci sono nuovi investimenti sostanziali) e il personale, mediamente, non sa utilizzare le nuove tecnologie (e anche questo, come detto,  sta succedendo perché non si è investito con decisione in formazione). Insomma, in Europa tutti aspettano gli investimenti pubblici del mitico Recovery Fund ma, per quanto detto, i benefici saranno una delusione.

In USA non è così: la presenza di un governo dal colore e quindi dalla linea politica definita e certa, ha permesso di procedere con vigore su questo fronte. Paradossalmente, come ricorderete dal mio articolo precedente, gli USA sono proprio quel paese che avendo una struttura di produttività di tipo “3”, non avrebbe neanche avuto bisogno di spingere sulla formazione per far crescere l’economia: anche una politica destrorsa, trumpiana, che avesse fatto affidamento solo sull’espansione monetaria, avrebbe funzionato.

Ma tant’è, ciò che conta è che la direzione politica delle scelte sia definita e non populista come sta accadendo in Europa. Il piano da 1,8 trilioni di dollari di Biden prevede infrastrutture e anche molta formazione e aiuti alle famiglie per sgravarle da impegni quotidiani e permetter loro di formarsi e riqualificarsi, a differenza degli europei.

Inoltre se osserviamo il grafici della Partecipazione della Forza Lavoro e dei tassi di Disoccupazione nei due paesi, notiamo che la disoccupazione è stata molto più profonda negli usa, perché non vi sono state le sospensioni dei licenziamenti che si sono avute diffusamente nei paesi UE, quindi i lavoratori USA hanno avuto fin da subito un forte sprone a riqualificarsi e ri-formarsi autonomamente, mentre i nostri europei erano in attesa fiduciosi e sussidiati, di riavere il loro posto.

Uno studio recente del Labour Department USA ci dice che la percentuale di gente che ha addirittura lasciato volontariamente il proprio vecchio lavoro è raddoppiata rispetto allo scorso anno, tutto questo vuol dire che i lavoratori americani si stanno ri-formando per prepararsi ai nuovi lavori e nuove carriere  del futuro, che sicuramente saranno spinte dai nuovi investimenti privati (l’Utilizzo di Capacità Produttiva in USA è ai minimi, l’esatto opposto della UE, quindi ci sono molti investimenti recenti da parte delle imprese) e da quelli del piano pubblico che entreranno in piena funzione nel giro di un anno; inoltre la frequenza di corsi privati di formazione e specializzazione è aumentata esponenzialmente, e questa è un’ulteriore conferma.

 

In USA quindi, una lieve stagnazione si avrà probabilmente a partire da fine gennaio / febbraio 2022, e servirà a placare pian piano le spinte inflattive persino maggiori provocate dalle spese natalizie, sarà quindi un rallentamento di assestamento, che porterà ad una piena e sana ripresa dopo circa 6-9 mesi, con la partenza dei lavori del piano Biden che troveranno, come detto, una forza lavoro produttiva, reattiva e strutturalmente cambiata pronta per la nuova economia, e con un’inflazione decisamente rientrata, grazie all’aumentata produttività del lavoro.

In EU, invece, l’inflazione si placherà probabilmente piu tardi, intorno ad aprile, ma non in modo definitivo e sano: darà luogo a ad una stagnazione prolungata perché la scarsa produttività del lavoro e gli scarsi investimenti produttivi delle imprese,  per i motivi visti, non consentiranno a imprese e lavoratori di agganciare gli effetti benefici degli investimenti infrastrutturali pubblici derivanti dal Recovery. Nel frattempo però, l’enorme massa monetaria messa in circolazione dalla BCE e dal Recovery Fund, in mancanza di aumento di produttività, provocheranno inflazione. E la stagflazione è servita.

 

Il dott. Fabio Panetta, della BCE, aveva avuto da tempo la sensazione che la politica monetaria della BCE non stesse dando i risultati attesi. Ma non si spiegava perché.

Ora, forse, potrà averne un’idea.

Fabrizio V Catullo, 20/11/2021

 

 

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