Terremoto Lega, a Roma si decide il futuro di Salvini.

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Dei mille scenari possibili con i quali il futuro ci lusinga, uno e uno soltanto si concretizza e diventa il presente con il quale fare di nuovo i conti. La regola del giorno dopo è la dura costante con la quale ciascun essere umano è chiamato quotidianamente a confrontarsi. Per questo le disillusioni sono molto più numerose dei successi.

A questa regola non sfugge la politica. Anzi. Le donne e gli uomini pubblici nel loro ideare scenari, strategie, ipotesi, suggestioni sono molto più soggetti alla delusione dovuta al verificare che non tutto ciò che avevano programmato si è realizzato. La regola del giorno dopo per i politici si amplifica all’esito delle elezioni. Che siano esse elezioni politiche o amministrative, soprattutto in Italia, i risultati di ogni turno elettorale determinano un cambiamento di scenario così radicale da dissolvere spesso traiettorie che si consideravano predefinite e sicure, aprendo a situazioni che se non impreviste erano comunque ritenute altamente improbabili.

L’Italia martedì prossimo si sveglierà con alcune certezze che si saranno confermate inscalfibili e alcuni dubbi che potranno essere dissolti oppure resteranno irrisolti, determinando una confusione maggiore per il quadro politico nazionale.

Le certezze: Milano resta la capitale economica e morale del Paese. La città più europea della penisola, dove vivere in ZTL ed esserne un “elettore da ZTL” non è un offesa, ma il risultato di un processo sociale che consente a centinaia di migliaia di persone di produrre ricchezza, condividerla con il resto della comunità grazie a servizi pubblici efficienti, avere stili di vita e abitudini che un tempo si sarebbero definiti borghesi, ovvero rivolti all’elevazione sociale attraverso lo studio, l’arte, la moda, la cultura, rispettare regole, dare merito alla competenza, essere inclusivi.

A Milano il sindaco Beppe Sala sarà riconfermato, forse già al primo turno, determinando uno schema politico peculiare ma efficace: un civismo ecologista e dinamico, aperto agli investimenti internazionali, fuori dalle logiche di partito, che resta un’aspirazione irraggiungibile per la gran parte del resto dell’Italia. Altra certezza la dà Bologna, dove il sistema ha già giocato la sua vera sfida di potere: quella della selezione attraverso le primarie del candidato sindaco di centrosinistra.

Ha vinto Matteo Lepore, il ragazzo nato e cresciuto nel partito. Uno che Concita De Gregorio intervistò per raccontare Bologna agli italiani nel suo programma “Fuori Roma” su Rai 3 nel lontano 2017. Alcune traiettorie sono così determinate ed evidenti che nulla può fermarle.

I dubbi dissolti: Torino e Napoli hanno un margine di alea ancora discretamente alto, anche se le previsioni non dovrebbero essere disattese. I candidati di centrosinistra, Manfredi sotto il Vesuvio e Lo Russo sotto la Mole Antonelliana dovrebbero tagliare il traguardo del primo turno in testa, predefinendo l’esito del ballottaggio.

I dubbi irrisolti: Roma resta il grande enigma nazionale. L’unica vera partita il cui esito è così incerto da determinare un’evidente agitazione nel sistema di potere. I romani con il loro voto sul sindaco determineranno la strada sulla quale si incamminerà la politica italiana. Futuro inquilino del Quirinale, durata del governo Draghi, definizione della nuova offerta politica alle eventuali elezioni anticipate del 2022 o a quelle a scadenza naturale del 2023 saranno prodotte da questo voto. Il sistema ridefinisce, scegliendo chi andrà al ballottaggio a Roma, il proprio perimetro di potere. 

Salvini è sotto attacco. Una doppia offensiva: da un lato interna al partito mossa dal ministro Giorgetti e dall’altra mediatica dovuta al caso di Luca Morisi, l’inventore della cosiddetta Bestia, la macchina di propaganda social della Lega, alle prese con la nemesi di un comportamento privato che non rispecchia la morale pubblica brandita in questi anni di potere come un’arma sugli avversari politici.

La Lega deve dunque decidere se restare, come vuole Salvini, una forza sovranista, emule del linguaggio della destra europea più estrema (Orban, Le Pen e Meloni) e incapace di chiarezza sui temi della vaccinazione per lucrare qualche consenso nelle sacche del voto novax, oppure ridefinirsi, grazie all’esperienza in atto con la partecipazione del governo Draghi, come una forza popolare, anti-populista, attenta in prima istanza agli interessi dei produttori di ricchezza del nord.

Un partito che sceglie come prospettiva politica quella di confermare la propria partecipazione a questo perimetro di responsabilità nazionale, lasciando isolata la destra della Meloni in una crescita costante, ma sterile perché senza un concreto esito possibile per divenire forza di governo. Giorgetti spera che i romani scelgano di portare al ballottaggio Carlo Calenda per dare il giorno dopo concretezza a questo schema politico.

Quello che è apparso un endorsement del Mazzarino leghista all’ex ministro del governo Renzi, eurodeputato eletto nelle file del PD e attuale leader di Azione è in realtà un escamotage per produrre un effetto domino sul sistema politico e istituzionale. A Roma non esistono veri elettori leghisti, ma solo esuli di esperienze partitiche di centrodestra in via di estinzione che nel partito di Salvini avevano intravisto una nuova prospettiva, che oggi appare sconfitta dal quadro politico e sociale determinato dalla pandemia.

Questo blocco di elettori di centro decidendo di votare Michetti oppure Calenda al primo turno potrebbero orientare il futuro politico nazionale. Carlo Calenda al ballottaggio avrebbe altissime probabilità di vincere contro il candidato di centrodestra scelto da Salvini. Ma soprattutto sbarrerebbe la strada al candidato del PD Roberto Gualtieri, dato per vincente in un’eventuale partecipazione al secondo turno.

La sconfitta del Partito Democratico a Roma al primo turno determinerebbe un doppio esito: l’impossibilità di concretizzare una alleanza organica fra PD e M5S a Roma ne indebolirebbe la prospettiva anche a livello nazionale in una logica bipolare del sistema e la differenziazione nella scelta di voto al secondo turno dei due partiti con il PD costretto a ingoiare il rospo del sostegno a Calenda e con il M5S libero di andare in ordine sparso darebbe il colpo di grazia a questo schema di alleanza. 

Gli elettori della nuova Lega immaginata da Giorgetti e il PD amputato dell’alleanza organica con il M5S sarebbero così uniti sulla necessità di votare Calenda per fermare il potere crescente della Meloni e stroncare lo schema di Salvini un centrodestra sovranista.

Il perimetro della maggioranza del governo Draghi da evento episodico ed eccezionale diverrebbe un fatto politico, determinato dalle scelte elettorali di uomini di partito e di governo e dagli elettori che ne vengono orientati. Da questo evento si potrebbe determinare la costruzione di una nuova offerta politica – o almeno di un perimetro di alleanze – che oggi non è ancora possibile dare per certa, ma che martedì emergerebbe fra le tante come un’ipotesi più credibile.

Potremo scoprirlo solo seguendo la regola del giorno dopo. 

 

Antonello Barone

 

 

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