Tre libri per riflettere sulla disarmante realtà italiana

Stupido e ignorante sarà lei!

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Ci sono tre libri che possono essere particolarmente utili per comprendere quello che è avvenuto, e almeno in parte sta ancora avvenendo, in Italia in questi ultimi anni.

  • Il primo è “Allegro, ma non troppo” di Carlo Maria Cipolla, uno dei maggiori storici dell’economia, docente a Pavia fino alla sua scomparsa nel 2000. Il libro, pubblicato nel 1988, ha due brevi capitoli. Nel primo si spiega come mai il pepe può essere considerato uno degli elementi che hanno determinato la crescita economica e civile dell’Europa dopo la caduta dell’Impero romano.

    Nel secondo si piegano le leggi fondamentali della stupidità umana. In sintesi: il numero di stupidi in circolazione è largamente sottovalutato, ci sono stupidi in ogni categoria, i danni della stupidità sono molto maggiori di quanto si ritenga. Lo stupido è essenzialmente chi danneggia gli altri senza aver vantaggi per sé e gli stupidi sono, secondo Cipolla, più pericolosi dei banditi che danneggiano gli altri per un proprio vantaggio personale. 

  • Il secondo libro è “Il principio di Peter. Perché il vostro superiore è un incompetente? Questo libro vi dà la risposta” scritto nel 1969 dallo psicologo canadese Laurence J. Peter insieme allo scrittore umorista Raymond Hull. La tesi del libro è molto semplice: all’interno delle organizzazioni chi svolge bene il proprio lavoro viene promosso ad una qualifica superiore per adempiere a mansioni per le quali è decisamente incompetente.

    E’ così che un giornalista, grande inviato, promosso direttore di un giornale si rivela un fallimento. E’ così che un bravo professore può fare disastri se viene promosso a preside. E’ così che un ottimo calciatore può dimostrarsi una schiappa come allenatore.

  • Il terzo libro è molto più recente e non è ancora passato alla storia, come peraltro sicuramente avverrà. Si tratta di “Sotto il segno dell’ignoranza” (Ed. Egea, pagg. 184, € 22) che Paolo Iacci, grande esperto della gestione delle risorse umane, ha dedicato ad un tema vecchio quanto il mondo. “L’ignoranza – afferma Iacci – è la nuova questione morale del Paese.

    La classe dirigente ha da tempo abdicato a favore di una orda di incompetenti che stanno occupando i posti di potere e che si approfittano della volontà di cambiamento diffusa nel Paese per occupare indegnamente i principali posti di responsabilità”.

 

Un giudizio storico?  Una realtà ormai superata dalla rivoluzione di Mario Draghi?

Una lettura forzata dei problemi dell’Italia? In realtà leggendo il libro di Iacci gli esempi sono tali, tanti e documentati che la via d’uscita appare ancor difficile e complessa. Anche perché ci sono molti momenti in cui l’ignoranza viene esaltata e la cultura viene umiliata. Iniziando dai luoghi dove si forma l’opinione pubblica, dove si confrontano le idee, dove si costruiscono le scelte personali e sociali.

E allora non si può che rilevare come ci sia una progressiva scivolata verso forme sempre più devastanti di dibattito sociale. Iniziando dalla televisione, dove tutto deve diventare spettacolo e i talk show sono le nuove arene dove si combatte a colpi di slogan e di trasgressioni. Proseguendo con i social network dove la logica dell’insulto e del disprezzo sembra accumunare una schiera sempre più grande di quelli che vengono chiamati “i leoni della tastiera”.

C’è una frase significativa: “questo lo dice lei” ed è stata pronunciata in un talk show dall’allora sottosegretario all’economia, Laura Castelli, (riconfermata nell’attuale governo) in risposta alla spiegazione dall’ex-ministro all’Economia, Pier Carlo Padoan, degli effetti della crescita dello spread.

“Questo lo dice lei”, come dire che la realtà è opinabile, che la logica e la razionalità sono elementi del tutto soggettivi, che è irrilevante il fatto che ci ha fornito la spiegazione è docente di economia in una delle più prestigiose università italiane.

Quel piccolo episodio è la punta di un iceberg, la parte emersa in modo clamoroso, della realtà disarmante di una situazione politica e sociale in cui dominano non solo l’ignoranza, ma anche l’approssimazione, la superficialità, il luogo comune, il disprezzo per la cultura della competenza.

Abbiamo parlamentari scelti dalle segreterie dei partiti solo in base alla fedeltà al “capo”, abbiamo ancora ministri e sottosegretari scelti solo per la loro appartenenza politica, abbiamo una struttura burocratica in cui promozioni e scatti di stipendio non dipendono dal merito e dall’efficacia dell’impegno, abbiamo una scuola costruita su misura sulle esigenze non degli allievi, ma dei docenti (e dei sindacati che li difendono).

E oltre all’appartenenza politica entra in campo il citato principio di Peter, secondo cui si viene promossi a sempre più elevati gradi di incompetenza, un principio che sembra essere di costante applicazione nella realtà burocratica degli incarichi pubblici.

Con i posti di responsabilità vengono spesso assegnati più in una logica di relazioni che non di effettive capacità. La contiguità con la politica diventa così un lasciapassare più che i titoli e l’esperienza. Chi riesce ad affermarsi per propri meriti viene visto con sospetto come componente di una élite che per sua natura si contrappone alla dimensione popolare.

 

Con un problema in più tuttavia.

Perché esiste una maggioranza di persone che fa con passione il proprio dovere, che cerca con dedizione di perseguire il bene comune, che si muove nell’area del volontariato, del non profit, dei servizi sociali. Persone che sono lontane anni luce dalla corruzione e dagli interessi privati o politici. Persone che studiano, insegnano, progettano, investono e creano posti e occasioni di lavoro.

Un problema in più. Perché l’ignoranza dei pochi si sposa con l’arroganza e la protervia. Anche se non manca la speranza perchè, come afferma nelle ultime pagine il filosofo Umberto Galimberti in un dialogo con l’autore del libro, “la cultura e l’educazione possono darci la possibilità di ritrovare la nostra umanità”.

 

Gianfranco Fabi

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