Mining e elaborazione dati per migliorarne la consapevolezza e favorire la crescita economica nazionale

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Al di là di alcune manifestazioni superficiali, spesso, si tende a sottovalutare il reale apporto che i dati, e soprattutto quelli personali, potrebbero dare all’economia e alla società. Queste stringhe di informazioni, infatti, come mattoncini che costituiscono la società digitale contemporanea, rappresentano proprio il valore invisibile su cui questa è fondata, contribuendo poi ad alimentarne i meccanismi.

Ebbene, a tal proposito, se non si tiene ben presente tale caratteristica si rischia – come effettivamente avviene in diversi casi – non solo di perdere una parte significativa delle informazioni contenute nei dati ma soprattutto di cedere inconsapevolmente porzioni sempre maggiori di sovranità digitale a tutto vantaggio di imprese private o di altri paesi.

Pur conoscendone in linea di principio l’utilità, sia per motivi tecnici sia culturali, in Italia soprattutto, si tende però a ignorare come sfruttare questa che è comunemente conosciuta come una grande ricchezza, anche se piuttosto scottante.

C’è, quindi, un primo elemento a parziale discolpa dello scarso ricorso alla mole di dati in nostra disponibilità: la sempre più difficile collocazione giuridica del dato stesso e la valutazione (oggettiva) del suo valore. Entrambi questi aspetti, infatti, rappresentano dei casi di studio piuttosto opinabili: sia l’inalienabilità dei dati personali (e quindi la loro cedibilità) sia la loro monetizzazione sono temi all’ordine del giorno. A questo proposito, basti pensare alla causa per evasione fiscale di recente intentata dalla Procura europea su Meta – e condotta dalla procura di Milano – per un valore di circa 870 milioni di euro. Il nodo gordiano attorno al quale ruota questa e tutta la definizione dell’economia digitale del prossimo futuro è semplice quanto nota e riguarda la definizione o meno del dato come bene economicamente rilevante. Se questa sorta di tabù fosse superato de iure e non solo de facto, pur rimanendo la difficoltà dell’attribuzione di un valore numerico al dato di questo piuttosto che di quell’altro individuo, si aprirebbe uno scenario in cui potremmo usare  noi stessi (o meglio i nostri dati) per la compravendita di beni o servizi digitali; una fattispecie probabilmente ben adattabile ad un contesto come quello del Metaverso.

Questa è però un’eventualità ancora in potenza e non è pertanto possibile stabilire se, come e quando diventerà realtà. In prospettiva, però, potrebbe nascere un mercato estremamente complesso, volubile, non ugualitario, fluttuante e composto di varie ramificazioni e livelli, di conseguenza sarebbe bene ragionare da subito su questo genere di interrogativi, anche al fine di evitare che le eventuali differenze di valore non incidano anche sulla legittima uguaglianza giuridica di ogni individuo.

In attesa che ciò avvenga, dovremmo invece preoccuparci di gestire in un modo più efficace i dati di cui disponiamo, o di cui potremmo avere disposizione.

In tale contesto, per quanto una più corretta redistribuzione sul mercato europeo della ricchezza generata dalle piattaforme rappresenti un obiettivo centrale per il futuro del nostro sistema economico, l’impostazione dei settori digitali sempre più data driven dovrebbe essere supportato da azioni concrete di “mining ed elaborazione” delle informazioni tese ad accrescere il valore di determinati settori strategici. In questo filone, quindi, si inserisce (o così dovrebbe essere) la strategia di sviluppo industriale, comunicativo e di brand del Paese nel suo insieme.

Questo è un ragionamento applicabile a diversi settori economici, strategici e politici. Realizzare un grande database italiano dei dati degli italiani e di chi transita nel nostro territorio sarebbe un grande alleato, infatti, nell’offrire servizi più efficienti alla comunità. Basti pensare, ad esempio, al settore dei trasporti, sia pubblici che privati. Un tale sistema aiuterebbe notevolmente a potenziare alcune tratte, efficientare i lavori di manutenzione e favorirebbe anche gli automobilisti negli spostamenti quotidiani (cosa che adesso fanno le grandi piattaforme) fornendo loro magari anche alcune informazioni interessanti sul loro percorso. Un tale sistema poi sarebbe perfetto per il settore del turismo con la possibilità da un lato di promuovere al meglio le realtà particolari della Penisola e dall’altro di offrire dei servizi mirati ai viaggiatori in base alle loro preferenze, e questo potenzialmente già da prima che si mettano in viaggio, proprio come farebbe qualsiasi altra piattaforma social sulla quale navighiamo. Ma questo genere di strutturazioni potrebbero produrre effetti positivi in termini di semplificazione e risparmio di risorse anche in altri settori, non ultimo in quello dell’e-government, della formazione e della sanità. Fermo restando il valore universale dei servizi alla persona tanto da parte delle amministrazioni pubbliche quanto dalle loro ramificazioni in ambito sanitario ed educativo, un massiccio ricorso all’elaborazione dei dati potrebbe contribuire a migliorarli anche in questi contesti. Il mondo che ci apprestiamo a vivere sarà dominato dall’iper specializzazione delle competenze e delle esigenze – pur permanendo una certa trasversalità tra i vari settori. In virtù di tale ragione, non è strano ipotizzare che vi sia anche la possibilità di personalizzare ulteriormente, quasi in una modalità ad hoc, anche determinati servizi, tanto più che (come ci auguriamo) i servizi completamente digitalizzati dovrebbero prendere effettivo piede anche nella PA.

Per quanto riguarda poi la tutela stessa del dato, sia da attacchi esterni sia da un certo tipo di “monetizzazione”, la gestione centralizzata contribuirebbe certamente ad accrescere la sicurezza. Certo, in ambito UE – attraverso il Data Act e il Data Governance Act – si sta cercando di costituire uno spazio europeo della gestione dei dati, un contesto in cui si va ad inserire anche la tutela preventiva del GDPR. Tale spazio andrebbe ad insistere su determinati settori strategici a livello europeo, ma è anche evidente che (non necessariamente per sovranismo) all’interno dell’UE vi siano delle singole specificità tali per cui si rende necessario anche una gestione del dato a livello nazionale e non solo attraverso la contribuzione comunitaria.

L’economia dei dati è quindi una fattispecie assai interessante della quale abbiamo solo scalfito e intravisto le potenzialità. Per riuscire ad andare più a fondo abbiamo necessità di lavorare su consapevolezza, processi, regole e sulle tecnologie digitali che siano tanto comuni quanto capaci di esaltare le specifiche peculiarità di ogni territorio, diciamo sfruttando in questo caso a pieno il motto europeo di “uniti nelle diversità”.

Maurizio Pimpinella, 8 maggio 2023

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