Il corpo è politica: tra obbligo di vaccino e libertà all’eutanasia legale

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Il nostro corpo torna ad essere il campo di battaglia preferito della politica. Lo spazio fisico sul quale si scontrano visioni opposte su cosa significhi essere, attraverso di esso, parte di una comunità e a chi competa in ultima istanza la scelta su cosa si debba o si possa fare con questo involucro di cellule e materia organica che contiene in ciascuno di noi quella nebulosa e astratta entità che chiamiamo coscienza. 

Il governo italiano ha scelto di non obbligare al vaccino. Eppure tanti ritengono che anche le limitazioni alla vita sociale imposte dal green pass siano uno sfregio alla libertà individuale. Contemperare il giusto equilibrio fra l’esigenza di tutelare la salute di tutti e il diritto di garantire il dominio sulle scelte che riguardano la cura e la condotta sul proprio fisico non è di facile attuazione. Tutto l’occidente sta vivendo questo travaglio politico e filosofico: il dovere della precauzione pubblica contro il diritto dell’autodeterminazione individuale. Ancora una volta lo scontro ideologico e fra i doveri che scaturiscono dal far parte di una comunità contro i diritti individuali senza i quali non ci si percepisce come uomini liberi. 

I governi hanno scelto la via della persuasione dolce. Ma resta pur sempre una sfida titanica quella di tentare di preservare la salute pubblica senza applicare la forza coercitiva detenuta dallo Stato in società impregnate di principi liberali e fondate sul diritto all’auto-determinazione sul proprio corpo. Il discrimine sul quale si tenta di trovare un punto di caduta accettabile è il danno che si arreca potenzialmente agli altri con le proprie scelte individuali, soprattutto nel caso si svolgano funzioni pubbliche, non tanto intese come attività a contatto con il pubblico, quanto professioni di pubblica utilità. 

Per gli operatori sanitari e quelli del mondo della scuola lo Stato ha ritenuto che sia obbligatorio vaccinarsi. La funzione determina il venir meno della propria autonomia decisionale? In un primo momento, seguendo la comunicazione mediatica che annuncia i provvedimenti legislativi, sembrerebbe di sì. Il rischio di interrompere funzioni pubbliche decisive quali il diritto alla salute e il diritto all’istruzione prevalgono sull’autonoma decisione di vaccinarsi o meno.

Ma in realtà anche in questi casi lo Stato non obbliga davvero, ma sanziona chi decide di non adeguarsi alla prescrizione. Si può decidere di non vaccinarsi, assumendosi però la scelta consapevole di dover fare altro nella propria vita professionale. L’interesse legittimo ad essere curati o a ricevere una adeguata formazione senza venire a contatto con dipendenti pubblici potenzialmente vettori del virus è superiore al diritto del sanitario o del professore di scegliere cosa farsi inoculare o meno nel proprio corpo. 

Il corpo è ancora una volta salvo dalla puntura coercitiva di Stato. La parola obbligo che si accompagna alla parola vaccino è una illusione semantica, una scorciatoia della politica e dei media, che però inquina il dibattito pubblico. L’autonomia della scelta è in realtà garantita, nonostante le gravi e inevitabili conseguenze. 

Lo Stato in fondo dimostra di voler confermare una legislazione che preserva sì il bene del noi senza ledere però l’autonomia dell’io sul cosa fare del proprio corpo. E questa sensibilità che ancora permane nel legislatore è figlia una stagione politica che ha mostrato la parte migliore della capacità del popolo italiano di farsi parte attiva dell’evoluzione della società.

Le battaglie referendarie sul divorzio e sull’aborto hanno avviato una traiettoria che non appare ancora finita, nella quale l’autodeterminazione è divenuta parte intangibile del giusto equilibrio di una convivenza civile fondata su una minore ingerenza del pubblico nella vita privata che riguarda inevitabilmente cosa fare del corpo delle persone e soprattutto delle donne. Perché non solo quella sull’aborto, ma anche quella sul divorzio è stata una battaglia sul corpo della donna, su chi ne potesse rivendicare la proprietà, il possesso, l’utilizzo, sull’impedire in definitiva che l’uomo ne avesse un dominio senza soluzione di continuità.

In questa traiettoria politica e giuridica l’istituto del referendum è stato dunque il grimaldello che ha scardinato le remore di un legislatore laico di nome, ma in realtà troppo legato a una visione confessionale del mondo, accelerando l’adeguamento delle norme al sentire reale della società, che altrimenti non sarebbe mai stato realizzato. Troppo spesso, e ancora oggi è così, la nostra democrazia ha dimostrato una grave incapacità nel portare la contemporaneità della realtà sociale dentro le norme. Questa iato è stato assorbito grazie all’azione politica di un uomo che ha lasciato un segno maggiore di quello che si possa ritenere nella storia della Repubblica e un’eredità concreta sul come si debba agire nella vita pubblica per consentire al Paese di affermare diritti che i partiti ignorano.

Marco Cappato ha raccolto il testimone di Marco Pannella e con la sua battaglia civile e processuale nel caso di Dj Fabo e con la raccolta di firme per il referendum sull’eutanasia legale potrebbe regalare all’Italia un altro momento storico sul diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo. 

Avere la possibilità di scegliere sulla propria vita e su come terminarla in particolari situazioni, rappresenta l’elemento finale di un trittico di libertà individuali – divorziare, abortire, morire con dignità – che segnano la qualità ultima della nostra democrazia. 

Chi scende in piazza per protestare contro il governo sulla lesione della propria libertà individuale contro un inesistente obbligo vaccinale e chi per mero vantaggio politico liscia il pelo a quesi movimenti ed elettori, prima dovrebbe ottenere un green pass di coerenza sul tema. Per parlare o protestare sui temi dell’autodeterminazione del proprio corpo prima dovrebbero passare ad un banchetto dell’Associazione Luca Coscioni per firmare sul referendum sull’eutanasia legale. 

 

Antonello Barone

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