Italiani, popolo di risparmiatori (ma non di investitori)

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Italiani, popolo di risparmiatori (ma non di investitori)

“Italiani, popolo di risparmiatori (ma non di investitori)” La Giornata Mondiale del Risparmio (di cui ho parlato in un numero del 2018) venne istituita in Italia nel lontano 1924 su iniziativa dell’economista Maffeo Pantaleoni.

Iniziativa meritoria quella di invogliare i cittadini italiani a risparmiare e che – vedendo i tassi storici di risparmio degli italiani – riscosse sin da subito un duraturo successo.

Oggi, dopo quasi 100 anni dalla sua proclamazione, gli italiani sono ancora un popolo di risparmiatori, ma qui si nasconde ahimè anche il problema: gli italiani sono risparmiatori ma non sono mai evoluti in investitori.

Veniamo alla realtà di oggi per capire meglio la questione: la pandemia del covid-19 sta avendo impatto fortissimo, oltre che dal punto di vista sanitario, anche sulle economie dei Paesi un po’ in tutto il mondo; le banche centrali e i Governi stanno varando imponenti misure di sostegno per evitare il collasso delle imprese e dei cittadini, i loro bilanci stanno lievitando in maniera esponenziale

In Europa la Bce ha già attivato misure straordinarie per 750 miliardi (piano PEPP) e incrementato quelle esistenti (motivo tra l’latro di scontro con la Corte di Giustizia tedesca); oltre a ciò – come ben sappiamo è aperto il confronto sul Meccanismo Europeo di Stabilità (il famoso MES) e sul Recovery Fund, ovvero il Fondo per la Ricostruzione.

Anche i Governi  sono impegnati  in questa ciclopica operazione: ogni Paese sta stanziando somme a favore della popolazione e del sistema economico, centinaia di miliardi verranno immessi nel sistema. Tutto questo porterà inevitabilmente due effetti: l’aumento enorme della liquidità circolante, la famosa massa monetaria, e il  vertiginoso – pericoloso – aumento del Debito Pubblico un po’ ovunque nel mondo.

Un primo effetto – distorsivo – è quello per cui la Germania, avendo il bilancio più in ordine, ha speso da sola il 50% di quanto speso da tutti i Paesi europei a favore del proprio sistema industriale (col rischio che la crisi passi da simmetrica ad asimmetrica).

 

Tutto questo porterà inevitabilmente due effetti: l’aumento enorme della liquidità circolante, la famosa massa monetaria, e il  vertiginoso – pericoloso – aumento  del Debito Pubblico un po’ ovunque nel mondo.

Un altro aspetto riguarda la sostenibilità dei Debiti Pubblici, e questo discorso ci interessa in modo particolare: il rapporto tra Debito e Pil in Italia è visto lievitare dal 135% del 2019 a oltre il 155% quest’anno in seguito appunto all’aumento indotto dalla pandemia; ma un po’ dappertutto le finanze pubbliche sono sotto pressione, anche negli Stati Uniti – con la crescita senza precedenti del numero dei disoccupati – il Debito Nazionale è cresciuto in poco più di un mese di 2mila miliardi di dollari raggiungendo la cifra record di 25 trilioni, ovvero 25mila miliardi (ricordate i fantastiliardi di Zio Paperone? Sembra di vivere a Paperopoli…).

Questa analisi non è banale, la sostenibilità non è qualcosa di cui parlare per riempire il pomeriggio ma è elemento fondamentale: qualche settimana fa il Libano, che era sopravvissuto alla famosa guerra civile negli anni ‘70, ha gettato la spugna e reso i propri cittadini  insolventi; e l’Argentina sembra avviata verso il nono default della sua storia…

Per gli Stati sarà fondamentale mantenere le finanze in ordine. E questo porta al terzo aspetto, quello per cui tutta questa montagna di nuova moneta creata dalle banche centrali prima o poi porterà ad un ritorno – più o meno forte – dell’inflazione, che sarà addirittura un obiettivo da raggiungere per abbattere il valore reali di tali Debiti.

E perché tutto questo dovrebbe interessare i risparmiatori italiani?

Perché più che mai, nei prossimi anni, assisteremo a quel processo – detto repressione finanziaria – necessario a rendere meno gravoso per gli Stati il fardello del Debito Pubblico. Uno dei modi per riportare sotto controllo il valore reale del debito è l’aumento dell’inflazione (meglio sarebbe ovviamente la crescita economica)

In queste condizioni puntare tutte le proprie fiches su strumenti di investimento quali la liquidità, obbligazioni a breve e medio termine o addirittura tenere i soldi sul conto corrente esporrà i risparmiatori proprio a quel rischio che tentano di sfuggire: una perdita certa del valore dei propri soldi.

Eppure, per quel bias cognitivo noto come “avversione alle perdite” (per cui anche di fronte alla possibilità di ottenere guadagni elevati si preferisce di gran lunga evitare le perdite), il risparmiatore italiano (appunto non investitore) rifugge in media un investimento diversificato in azioni o altri strumenti diversi dagli “apparentemente sicuri” titoli di stato e si rifugia in scelte di brevissimo termine, quali la liquidità o i conti correnti.

 

Dimenticando però che i suoi obiettivi sono ancora lì, ben presenti: dalla pensione allo studio dei figli (pensando al futuro dei nostri ragazzi possiamo immaginare di negare l’accesso a una Università, anche fuori Italia in caso, visto che questo sarà sempre di più un elemento fondamentale per la loro formazione?) alla pianificazione per la terza o quarta età.

E come finanzieremo queste spese? Con la liquidità sui conti correnti? Per i prossimi 5-10 o 15 anni? Questa la soluzione?

 

Massimiliano Maccari

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