Tassi sempre più su. La BCE a ruota della FED

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Le regole basilari della politica monetaria stabiliscono che per combattere l’inflazione è necessario alzare il costo del denaro finché non si raggiunga l’equilibrio tra costi di produzione e vendita di beni e servizi; questo ipotetico punto di equilibrio è stimato intorno al 2%, ovvero un livello d’inflazione fisiologico che garantisce la fluidità di un’economia.

Quanto appena enunciato sarebbe la teoria ma, com’è noto a tutti, la pratica, soprattutto in un ambito critico come quello economico-finanziario, è il risultato di corrette o errate politiche monetarie e non sempre risponde ai teoremi che richiamano le leggi basilari dell’economia; anzi, in alcuni casi l’applicazione severa e costante di queste regole base, senza tener conto dello stato delle economie coinvolte, peggiora sensibilmente la situazione.

Questo è esattamente il caso dell’Europa, o meglio di alcuni paesi aderenti all’unione monetaria; le decisioni assunte dalla Banca Centrale Europea, infatti, non sono altro se non una pura applicazione pedissequa delle citate regole nonché una ostinata e costante imitazione mal riuscita di quanto messo in atto dalla Federal Reserve per contrastare l’inflazione oltreoceano la cui natura ha origini differenti da quanto accaduto nel Vecchio Continente.

Al fine di confortare queste affermazioni, non solo esternate dallo scrivente ma soprattutto da illustri economisti, è necessario procedere per gradi anche per rendere agevolmente fruibile la dissertazione a chi non è addentro ai meccanismi che muovono il complesso sistema dell’economia e della finanza.

Innanzitutto, analizziamo l’origine dell’inflazione e le realtà politiche interessate dal fenomeno; per quanto riguarda l’Europa l’impennata dei prezzi è conseguenza in gran parte del caro energia a seguito del conflitto russo-ucraino ma anche della difficile ripresa post covid, la congiuntura dei due eventi ravvicinati ha generato pertanto un’eccessiva impennata dell’inflazione.

Di differente natura, e più complesso, invece, è ciò che si è verificato negli Stati Uniti dove l’inflazione ha origini interne dovute principalmente alla repentina ripresa post-pandemia che ha spinto il Governo a stimoli per la ripartenza, ad esempio, raddoppiando la base monetaria pari a circa 3.000 miliardi di dollari pre-covid ai 6400 attraverso poderosi acquisti di titoli di stato.

Ciò, accompagnato da sgravi fiscali ed aiuti a famiglie ed imprese, non solo ha ripristinato il potere d’acquisto degli americani ma spinto anche i mercati facendo lievitare la domanda esponenzialmente, questa politica è stata portata avanti fino a dicembre 2021; questo fenomeno, in aggiunta a quanto verificatosi nell’estate del 2021, ovvero le difficoltà dei produttori di far fronte alla domanda in eccesso dopo le restrizioni, ha così determinato il rincaro dell’offerta.

A completare il quadro la rapida risalita dovuta ai prezzi delle materie prime i cui livelli minimi durante la pandemia, sia per poca domanda che difficoltà di approvvigionamento, hanno spiccato il volo in pochi mesi riassestandosi su quotazioni elevate. Si aggiunga il rincaro dei prezzi degli alloggi ed in altri settori fondamentali e la situazione appare molto più chiara.

Naturalmente la FED, dopo le poderose misure espansionistiche messe in atto, si è ritrovata un Paese che ha reagito oltremodo agli stimoli lasciando autostrade libere all’inflazione ed aumenti dei prezzi senza controllo; ecco perché la politica eccessivamente restrittiva che si sta rivelando efficace.

In Europa, contrariamente a quanto accaduto negli USA, l’impennata dell’inflazione è dovuta principalmente al caro energia che ha generato costi di produzione eccessivi per le imprese e soltanto in minima parte alla ripartenza post-pandemica.

Oltretutto, e non è un fattore di poco conto, l’Unione Europea viaggia a tre differenti velocità, contrariamente a quanto accade in America ove un solo Governo, con sovranità monetaria tra l’altro, decide per un’economia di un solo Paese e ad una sola velocità

Nell’area Euro, invece, vi è un enorme gap tra i Paesi del Nord, che hanno economie pressoché stabili e debito pubblico non in eccesso rispetto al PIL, e quelli del Sud con conti pubblici in sofferenza, debito alle stelle e salari sottodimensionati; la terza area è costituita dai Paesi dell’est (quelli che adottano l’euro e non solo) in lenta e costante espansione; per ovviare a ciò nessuno Stato ha sovranità in materia monetaria.

Ad aggravare la situazione anche la pressione fiscale non omogenea all’interno dell’Unione che spinge le aziende a trasferirsi ed apportare ricchezza ai paesi in cui stabiliscono la sede legale sottraendola a quelli di origine.
Non da ultimo l’aggravio (per gli stati con eccessivo debito) dovuto agli interessi da pagare sui titoli di stato, in gran parte posseduti da paesi dell’area settentrionale e di conseguenza altro trasferimento di ricchezza da paesi poveri a paesi ricchi.

Alla luce di questo stato di cose non è assolutamente comprensibile come la BCE possa continuare a perseguire un’unica politica monetaria per tutta l’Unione, non considerando le citate criticità al suo interno, e scimmiottando ciò che attua la FED la cui economia di riferimento ha dinamiche ed inflazione di diversa natura.

Se ci si ostina su questa strada un “2008 europeo” non è affatto lontano, pertanto o si decidono politiche monetarie differenziate per aree o si bruceranno miliardi (di paesi già in difficoltà e loro famiglie ed imprese) inutilmente; una parte d’Europa crescerà ancora di più a danno del resto dei paesi che rasenteranno il default.

Le regole dell’economia hanno anche le eccezioni … se non ora quando?

Antonino Papa 27 luglio 2023

 

 

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