Eutanasia, risparmiateci la retorica dei “diritti civili”

Il caso del suicidio assistito chiesto da anni da un paraplegico di nome Mario

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Non sono liberista così come non sono comunista, non sono progressista così come non sono conservatore (in senso astratto), non sono sovranista o nazionalista così come non sono cosmopolita e internazionalista. In una parola sono un uomo libero, prima di tutto nel pensiero, e cerco di evitare percorsi e sentieri già tracciati da altri almeno che non riesca a farli miei con tutto me stesso. Rifuggo, cioè, da schematismi, determinismi, automatismi di pensiero, e quindi frasi fatte, idee ricevute, coazioni a ripetere slogan e ragionamenti prevedibili e “vidimati”. In una parola, rifuggo da quegli svolgimenti del temino “diritti civili” che, appena un episodio di cronaca ce ne dà motivo, giornali e giornaloni, media di ogni tipo, opinionisti di ogni sorta, ci propinano ad libitum, con arroganza e protervia intellettuale e con l’aria di saperla più lunga e comunque di considerarti un paria se osi mettere in dubbio il verbo accreditato.

L’ultimo caso riguarda il suicidio assistito chiesto da anni da un paraplegico di nome Mario e alla fine, dopo un impervio iter burocratico e legale, concesso da un non ben definito (direi fantomatico) Comitato etico dell’azienda sanitaria delle Marche. Ovviamente, non erano passati che pochi minuti dal battere delle agenzie e già l’Associazione Luca Coscioni emetteva, come da sperimentato copione, il suo comunicato, come al solito spettacolarizzando e politicizzando una vicenda umana drammatica e comunque contro natura quale è il togliersi la vita. Ma anche la macchina dei commentatori, o meglio e appunto del tema già scritto da altri e prevedibile in ogni punto del suo svolgimento (“la solita canzone d’organetto”, per dirla con Nietzsche), si era intanto messa all’opera.

Stefano Massini, che è uno scrittore e uomo di teatro benedetto da quell’enclave del giornalisticamente corretto che crea e disfa opinion maker a suo piacimento, faceva notare ad esempio su Repubblica che la decisione degli eticisti marchigiani, ovviamente considerata “storica”, coincideva con il cinquantunesimo compleanno di quella Eluana Englaro il cui caso aveva a suo tempo destato non poco clamore e non poche divisioni politiche e parlamentari. In una sorta di ideale pantheon dei martiri della libertà di… morire. E già questo dovrebbe destare qualche dubbio, se è vero come è vero che la libertà ha un senso nell’orizzonte della vita e non in quello della morte. Anche la non approvazione del decreto Zan viene chiamata in causa da Massini in una sorta di pout pourri che mischia tutto ma non certo a casaccio.

Il tema è sempre quello dei diritti, che praticamente ci consentirebbero di fare sempre e tutto quel che ci passa per la testa e che i “dirittisti” del nostro tempo tendono ad espandere senza confini (e c’è già stato pure qualcuno che ha parlato di “diritti degli animali”: e, d’altronde, se la “dignità” viene ridotta alla “nuda vita” biologica e all’assenza di sofferenza fisica perché non estenderla anche ad essi?). Debbo però dire che a me che sono uomo di dubbio, che non ho certezze, e che sono persino disposto a seguire i ragionamenti di chi ha tanto sicurezze e così forti da volerle imporle agli altri attraverso le leggi dello Stato, ciò che urta più di tutto è la retorica progressiva o progressista, quella che ti porta a vedere il percorso che da Welby e Englaro arriva a Mario e poi porta ancora oltre come una linea retta fatta di sempre maggiori conquiste di libertà e diritti, come un ascendere de claritate in claritatum nonostante la presenza di forze “oscurantiste” sempre all’opera ma destinate a soccombere.

Esse infatti andrebbero, secondo questi “illuminati”, in direzione opposta al “senso della storia”, alla “direzione di marcia” già inscritta a caratteri cubitali e a cui sarebbe vano e stupido opporsi anche solo fermandosi un attimo a riflettere o a sollevare qualche dubbio. Di nuovo, è il determinismo che sorregge tutto l’impianto. C’è poi persino chi tutto questo lo chiama liberale perché appunto la meta finale sarebbe la libertà individuale, il fatto di non avere limiti nelle proprie scelte (con lo Stato che però la autocertifichi e se ne faccia mallevadore). Povertà dei tempi, o, se preferite, scarsità di pensiero dialettico e incapacità di comprendere che è solo nel limite che la libertà può darsi. Una vita assolutamente libera, cioè sciolta da vincoli, è libera sì, a ben vedere, ma solo di correre verso quell’assoluta mancanza di limiti che è appunto la morte.

Corrado Ocone, 25 novembre 2021

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