Giustizia, cosa manca nella riforma Cartabia

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“Un processo che finisce nel nulla è un fallimento dello Stato”. Le parole del ministro Cartabia in un’intervista al Corriere della Sera mi convincono a metà. Molto spesso sono le indagini a non finire nemmeno in un processo. Anche questo credo che sia un fallimento dello Stato, ma anche dei singoli magistrati inquirenti che non riescono a costruire un impianto accusatorio contro un innocente. Già, perché di innocenti parliamo, tutti innocenti fino a prova (prova!) contraria.

E su questa prima parte, quella che va dalle indagini al rinvio a giudizio, la “riforma Cartabia” non c’è. Anzi, c’è la riforma Bonafede, solo emendata dal ministro Cartabia. Le settimane di continui colloqui – cito ancora l’intervista al ministro – che hanno preceduto la seduta del consiglio dei ministri della scorsa settimana aggiungono un brivido al testo sostanzialmente riproposto da quello che era la proposta M5s. Un compromesso osannato da quasi tutta la stampa (e da quasi tutte le forze politiche) dimentica che la Giustizia è questione vitale per i cittadini, prima ancora che per i loro rappresentanti parlamentari e prima ancora dei magistrati e prima ancora dello Stato.

Vittime della giustizia non sono solo i 1200 casi che la Corte europea ha indicato come persone che hanno subito una ingiusta durata del processo – record europeo, numero doppio di quelli registrati in Turchia, Paese al secondo posto di questa non invidiabile classifica – vittime della giustizia sono le migliaia di donne e di uomini che hanno visto l’assoluzione in secondo o terzo grado dopo un primo giudizio sbagliato. Sì, sbagliato, lo si deve dire se si crede all’amministrazione della giustizia: se le condanne sono annullate in secondo o terzo grado, vuol dire che le accuse erano sbagliate!

Vittime della giustizia sono le migliaia di persone che, grazie a un innaturale convergenza di interessi tra media e magistratura (e tra politica e magistratura), si sono trovate sulla gogna pubblica per anni, salvo poi essere prosciolti, prima ancora che assolti. Privati della loro dignità personale, professionale o politica per un errore della magistratura. Vittime della giustizia sono le migliaia di persone che non avendo i mezzi economici per difendersi – gli avvocati, giustamente, costano – hanno dovuto soccombere in un confronto impari con lo Stato e con i suoi rappresentanti. Vittime della giustizia sono le centinaia di accusati che hanno scelto il suicidio.

A tutte queste vittime della Giustizia la riforma Bonafede, emendata dal ministro Cartabia, non rende onore. E soprattutto non ne impedisce la moltiplicazione. Perché “la riforma conserva l’impianto della prescrizione in primo grado della legge Bonafede”. Ancora parole di Marta Cartabia, primo ministro della giustizia a poter vantare nel proprio curriculum la presidenza della Corte Costituzionale. Una condizione che la pone, a pieno titolo, nel Governo dei Migliori. Ma proprio per questa condizione ci eravamo aspettati che potesse scrivere una legge di riforma della giustizia senza preoccuparsi dell’ego ferito di Alfonso Bonafede o dei problemi di tenuta politica del M5s. I cittadini vengono prima di loro. Avevamo sperato, in molti, che il Governo dei Migliori potesse redigere un testo “giusto”, secondo le autorevoli indicazioni di quella commissione Lattanzi (altro presidente emerito della Corte Costituzionale) che invece sono state accantonate, per inseguire un compromesso politico. Avremmo preferito un testo del Governo secondo le indicazioni dei migliori, lasciando al Parlamento, sovrano come sempre, l’onere di trovare il punto di mediazione politica possibile.

E poi forse ci siamo dimenticati della separazione delle carriere, della riforma del Csm, e di tutte le questioni che puntualmente elencava la relazione della Commissione Lattanzi. Nulla di fatto. Il metodo Draghi che abbiamo apprezzato in questi mesi è stato quello dell’ascolto di tutti e della decisione solitaria. Lo abbiamo visto all’opera in molte nomine. Lo abbiamo apprezzato nella stesura del Pnrr. Lo avremmo visto con soddisfazione nella riforma della giustizia. Invece sono prevalse le bandiere sdrucite, di parte e di partito. Con buona pace per le vittime della giustizia di ieri e di quelle che inevitabilmente saranno domani.

La riforma Bonafede, emendata dal ministro Cartabia, soddisferà le richieste della Commissione europea? Forse, il nostro premier è oggi il vero leader Ue. Ma temo che non soddisferà le esigenze degli investitori stranieri che alla palude delle indagini e del processo di primo grado hanno visto aggiungersi un altro barocchismo italico: l’improcedibilità. Un limbo tra assoluzione e condanna, che non scioglie il giudizio, lo congela per l’eternità. Con effetti di incertezza perenne, soprattutto per le parti civili (e quindi per gli interessi economici che restano pendenti e irrisolti).

Antonio Mastrapasqua, 12 luglio 2021

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