Gli altri “esperti” sconfitti dalla pandemia

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C’è una categoria di studiosi che più degli altri esce sconfitta dalla gestione della pandemia: i costituzionalisti. Prima di tutto coloro che, per la loro rigidità ideologica, negli anni passati avevamo imparato ad apostrofare, con rispetto ma anche con un non velato sfottò, le “vestali della Costituzione”. Per loro la legge fondamentale andava interpretata alla lettera, non nello spirito, come un testo sacro che non viveva nel tempo ma si sottraeva ad ogni modifica o adattamento. Un totem.

Fu in quest’ottica che essi si opposero alle proposte di riforma e ai referendum prima di Berlusconi e poi di Renzi, e si mobilitarono con appelli gridando all’ “emergenza democratica” ogni qualche volta qualche piccola modifica veniva proposta o avanzata (soprattutto dal centrodestra). D’altronde non era la Costituzione figlia della Resistenza? E, se la Resistenza era stata antifascista, per una sorta di proprietà transitiva “fascista” era anche chiunque volesse modificare in qualche punto la Carta, fosse anche per adattarla a nuove esigenze.

Arrivata la pandemia, e con il governo più a sinistra della storia, le “vestali” di colpo tacquero. E non solo loro: furono pochissime le voci fra i costituzionalisti che mossero appunti, sotto il governo Conte, ai famigerati dpcm, alla sistematica messa da parte del Parlamento e delle opposizioni, alla assoluta leggerezza con cui venivano limitate le libertà fondamentali, alla segretezza con cui fu tenuta nascosta la promulgazione di uno stato d’emergenza che, lungi dall’essere provvisorio, sembrò a un certo punto dovesse continuare all’infinito. Ci fu addirittura qualcuno, ad esempio l’insigne Zagrebelsky, che si prodigò in vere e proprie capriole mentali e verbali per giustificare tale modus operandi.

Perché ciò avveniva può essere spiegato in due modi, soprattutto: 1. la militanza a sinistra della più parte dei costituzionalisti, che quindi si affidavano toto corde al premier del governo fondato sull’asse Zingaretti-Speranza; 2. l’aspettativa di prebende e consulenze da parte di un governo non certo parco su questo fronte verso tecnici e esperti Un governo che a un certo punto cadde e fu sostituito dall’attuale di Mario Draghi. Il quale è sicuramente più rispettoso del Parlamento e delle forme della democrazia ma è pure lui costretto spesso a non seguire la Costituzione: vuoi perché pressato dall’ala sinistra del suo esecutivo (che è in perfetta continuità con la maggioranza del governo precedente); vuoi perché effettivamente in punti importanti la Costituzione italiana ha grossi limiti, storici e culturali (fu pur sempre scritta anche da un ampio fronte socialcomunista e in genere non liberale), che non permettono più di rispondere alle esigenze del presente.

Il conformismo e la retorica che fa della Costituzione italiana “la più bella del mondo”, a prescindere, e che quindi paralizza ogni seria riforma, fa sì poi che si generino due paradossi: da una parte, permette che si viva in una perenne ipocrisia governativa (si rispetta formalmente ciò che nella prassi si scavalca costantemente); dall’altra, che oggi tocchi proprio a noi liberali difendere la Costituzione, a cui da tempo avremmo voluto mettere mano per emendarla dai suoi indubbi tratti democratici e socialisti. Quanto più lineare la common law della Gran Bretagna, che di una Costituzione non ha bisogno ma che comunque da ottocento anni rispetta il sacro principio dell’habeus corpus. Un principio, come è noto, che impone la sussistenza di precisi presupposti giuridici per poter limitare la libertà di una persona. Appunto!

Corrado Ocone, 29 aprile 2021

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