Guerra dei dazi, anche la Cina se l’è cercata

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Speciale zuppa di Porro internazionale. Grazie a un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, il commento degli articoli tratti dai giornali stranieri.

É interessante leggere sul New York Times del 21 maggio un editoriale di Thomas L. Friedman, opinionista principe del giornale di Manhattan sulle questioni internazionali, intorno alla questione cinese. Citando un uomo di affari esperto di Pechino Friedman, acerrimo critico dell’attuale Casa Bianca, sostiene che se gli Stati Uniti non si meritano Donald Trump, la Cina invece sì: ha proprio quel che si è cercata.

La Cina ha aderito al WTO nel 2001 ottenendo un sacco di agevolazioni in quanto paese sottosviluppato, questa scelta peraltro ha favorito senza dubbio un’accelerata crescita dell’economia globale.

Ma Pechino ora che è diventata la seconda economia del pianeta pretenderebbe di mantenere i suoi privilegi. Il punto è che finché la Cina esportava negli Stati Uniti magliette e palle da tennis, non poneva problemi strategici, ora che compete per la supremazia nella costruzione di supercomputer, nell’Intelligenza artificiale, nei nuovi materiali per le supertecnologie, nella stampa 3-D, nei sistemi di riconoscimento facciale, nel software, nella robotica, nelle macchine elettriche e autoguidate, nel wireless 5G e nei microchips più avanzati, l’idea di mantenere tutta la sua rete di protezione interna appare assurda, così come quella di impedire un bilanciato accesso dei competitori sul suo mercato e così come quella di  pretendere che si chiudano gli occhi sul sistema di furti che è alla base del suo sviluppo tecnologico, con ricadute in campo militare che sostengono una nuova aggressività nel Mar del Sud cinese, verso Taiwan e in prospettiva sulla Via della Seta e in Africa.

Finché la Cina proseguiva sulla via denghista di progressiva integrazione in un ordine liberale del mondo si poteva pensare che la crescita della sua ricchezza avrebbe aiutato uno sviluppo democratico di quell’enorme nazione ma con Xi è prevalso invece un inasprimento inedito del controllo del sistema militar poliziesco al governo sulla popolazione.

Le vie del commercio sono quelle che meglio consentono soluzioni win-win dove tutti i partner possono arricchirsi, e in questo senso Trump, secondo Friedman, fa bene a chiedere a Pechino di affrontare i problemi per quel che sono, ma dovrebbe frenare la sua propaganda via tweet e concentrarsi sulle questioni concrete. Ciò non deve però far dimenticare – prosegue l’opinionista newyorkese – che consentire una situazione di favoreggiamento e pirateria internazionale a un regime autoritario prepara non la via all’affermarsi di un pacifico e douce commerce nel mondo, bensì a nuove imprevedibili crisi globali.

Difficile dar torto a Friedman.

 

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