I 5 maxi flop di Conte

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Beppe Grillo ci ha messo un po’, però alla fine l’ha capito anche lui. Ha scoperto che Giuseppe Conte “non ha né visione politica, né capacità manageriali, non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione”. In sostanza: un “incapace”. Ci è arrivato con discreto ritardo, l’Elevato, e soprattutto solo dopo avergli consegnato le chiavi dell’Italia e del suo Movimento. Sempre meglio tardi che mai, direte. Però sono ormai passati tre anni esatti da quando lo sconosciuto professore universitario, dal curriculum bislacco con non pochi punti interrogativi, ha giurato nelle mani del presidente della Repubblica auto-elevandosi ad “avvocato del popolo”. E dopo due governi e altrettante ondate pandemiche è arrivato il momento di tirare le somme sull’esperienza politica di Giuseppi da Volturara Appula. Una parabola costellata da una serie di flop che vale la pena ricordare.

1. Immigrazione: quando arrivò al governo convinto che “sovranismo e populismo” fossero iscritti nella Costituzione, Conte sposò con mani e piedi la linea rigorista di Salvini. Promise di mettere fine al “business dei migranti” e finché ebbe il buon cuore di tenersi il leghista al Viminale le cose effettivamente andarono benino. All’iniziale crollo degli sbarchi, e alla guerra con le Ong, Giuseppe fece però seguire una doppia capriola carpiata in grado di portarlo alla guida di un governo di centrosinistra giallorosso dalle posizioni migratorie opposte e contrarie. Risultato: nuova impennata degli approdi e tanti saluti alla guerra ai “taxi del mare”

2. Pandemia: poco prima dell’arrivo del virus cinese, Conte in tv rassicurò i cittadini. Disse: “L’Italia è prontissima”, mentre invece mancavano respiratori, mascherine, medici, scorte, piani pandemici adeguati. Un mezzo disastro, che per diversi mesi Giuseppi cercò di far passare come successo. Parlò di “modello italiano”, con tanto di supporto video dell’Oms. Poi i fatti si sono occupati di smentirlo. Ricordate il caos dei primi giorni? Ricordate il ritardo nell’istituire le zone rosse? Oppure i militari inviati in Val Seriana e lasciati a marcire per giorni in hotel senza intervenire? Lo scomodo report del ricercatore Oms Francesco Zambon, infatti, ha definito la gestione della pandemia “improvvisata, caotica e creativa”. In fondo i numeri sono lì a dimostrarlo: il Belpaese è tra i primi Paesi al mondo per numero di morti provocati dal coronavirus.

3. Gli uomini del Conte: per le primule e le sedie a rotelle le colpe verranno attribuite a Domenico Arcuri e Lucia Azzolina, ma se i due se ne stavano al loro posto il merito (o la colpa) è di chi li ha voluti e nominati. Non è un caso se Mario Draghi, appena s’è installato a Palazzo Chigi, ha scelto in breve tempo di sbarazzarsi di tutti gli uomini chiave del contismo di governo. Prima l’Azzolina lasciata senza ministero, poi l’uomo di Invitalia sostituito dal generale Figliuolo. Infine tutti gli altri: Angelo Borrelli, mezzo Cts, Gennaro Vecchione. Non se n’è salvato nemmeno uno.

4. Cashback: visto che si parla di Draghi, va citata pure la mancetta da 150 euro a semestre diventata bandiera del grillismo vedovo di Conte. La misura, voluta e difesa da Giuseppi durante il suo mandato, è stata abbattuta dall’ex governatore della Bce. Il quale non si è solo limitato a sospenderla, ma l‘ha pure distrutta in Consiglio dei ministri definendola, in sintesi, uno strumento inutile che favorisce i ricchi, non combatte l’evasione e non fa aumentare l’uso della moneta elettronica. In pratica, un disastro.

5. Recovery Plan: il ritornello che ogni mattina Giuseppi (e Travaglio) si ripetono allo specchio è che il Recovery Plan sia il grande capolavoro dell’era contiana. Già, peccato vi siano un paio di questioni di non poco conto. Primo: l’Italia resta creditrice netta per 3 miliardi di euro, quindi bene esultare ma non benissimo. Secondo: se si svegliano i frugali, con il via libera della Germania possono bloccarci i fondi, che sono legati a riforme di fatto dettate dall’Ue. Tra queste, giusto per citarne una, c’è la transizione ecologica dalle mille insidie (chiedere a Cingolani per conferma). Terzo: in Europa hanno tirato un sospiro di sollievo quando hanno scoperto che a gestire il pacco di miliardi non sarà l’uomo degli inutili Stati Generali di villa Pamphili, ma un signore che aveva guidato la Bce.

Non bisogna dunque sorprendersi di quanto sta accadendo nel M5S, che forse potremmo annoverare come sesto flop di Conte. Dopo essere stato presentato come l’unto dal Signore in grado di riportare il Movimento ai fasti che furono, Giuseppi è riuscito a seminare il caos totale nel primo partito italiano. Una faida dagli effetti imprevedibili. Ma oggi Conte sembra essere sul punto di spaccare il grillismo in due anime rischiando così di condannarlo all’irrilevanza. Se ci riuscisse, sarebbe il suo ultimo “capolavoro”.

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