I nazisti bruciavano i libri proibiti. Oggi li bruciano prima che siano pubblicati

5k 12
Amélie Wen Zhao-min

“Sto per essere pubblicata!!!”, così, annunciava, piena di entusiasmo, Amélie Wen Zhao, cinese, nata Parigi e residente a New York; cresciuta, come dichiara fieramente, “in un ambiente multiculturale”. Blood Heir (L’Erede di sangue) sarebbe stato il suo romanzo di debutto. E sarebbe dovuto uscire questa estate, pubblicato dalla Random House.

Sarebbe, perché lo scorso gennaio, Amélie Zhao, scrive un lungo post su Twitter che si conclude così: “Non ho mai voluto far male ad alcun lettore, in particolare quelli di cui cerco di scrivere e valorizzare (empower). E così, ho deciso di chiedere al mio editore di non pubblicare Blood Heir in questo momento e loro hanno accettato. Non voglio cercare giustificazioni, né difendermi né che qualcuno mi difenda. La mia è una richiesta di scuse”.

Cosa è successo? Come avviene normalmente, diverse copie di Blood Heir sono state distribuite in anticipo a critici, altri scrittori e influencer vari. Viene fuori che Blood Heir (doveva essere il primo volume di una trilogia) racconta di un mondo dove un gruppo etnico è dotato di poteri magici e per questo viene discriminato e assoggettato dal resto della popolazione.

E gli zeloti del politicamente corretto si sono subito scatenati. Accusano la Zhao di appropriazione culturale. Cioè di stare sfruttando il dramma degli afroamericani portati come schiavi in America. Il tutto condito da un edificante dibattito se una asiatica dalla pelle chiara come la Zhao debba essere considerata una POC (person of color) e quindi vittima dell’oppressione, oppure una “persona bianca”, quindi una privilegiata.

Quello di Blood Heir è il primo caso di un romanzo cancellato (almeno temporaneamente) ancora prima della sua pubblicazione a causa dell’indignazione via social.   Ma questo tipo di interferenze sono sempre più frequenti.

L’anno scorso, un altro romanzo fantasy, The Continent, è finito nel mirino dei militanti del politicamente corretto. The Continent racconta le avventure di una ragazza agiata (e bianca) che finisce per errore in un continente selvaggio abitato da due tribù in guerra tra loro. Apriti cielo. L’ennesimo cliché del salvatore bianco che salva i selvaggi. “È sconcertante che i nativi siano rappresentati in questo modo” scrivono gli utenti più illuminati. “27 dei miei amici hanno inserito The Continent tra i libri consigliati. Scriverò a ciascuno di loro e gli dirò di Smettere.

Risultato delle polemiche? The Continent viene riscritto. L’editore ha ingaggiato un numero non meglio specificato di sensitivity reader. Possiamo tradurlo con “lettori sensibilizzati”, o “politicamente consapevoli” (o semplicemente con “censori”…). Sotto la solerte guida dei lettori sensibilizzati esce quindi una nuova versione di The Continent, depurata da ogni forma di razzismo.

Ecco alcune delle modifiche: Nel The Continent “per razzisti” i nativi hanno “una bellissima pelle color bronzo”. Nella versione politicamente corretta “hanno la pelle così bianca da sembrare carta”. La protagonista non è più bianca ma, si scopre, è imparentata alla lontana con i nativi. Nella versione originale si decide di “costruire un muro”. Nella versione revisionata si decide di “costruire delle torri”. I termini primitivo e selvaggio sono stati cancellati completamente da tutto il volume.

È paradossale che, in entrambi i casi, il messaggio politico di questi racconti fantasy sia sfacciatamente progressista. Sono storie che parlano (più o meno forzosamente) di diversità, di anti-razzismo, di ribellarsi ad una società bigotta e ottusa.

È la famosa rivoluzione che divora i suoi figli. L’autrice di The Continent, Keira Drake (bianca), si dice entusiasta di aver dovuto riscrivere il suo romanzo. Un processo che le ha fatto scoprire i suoi “pregiudizi inconsci”. Mentre Amélie Zhao si prodiga contrita in mille scuse, come l’imputato di un tribunale staliniano. Si difende soltanto quando dice di non aver mai voluto “appropriarsi” del dramma della schiavitù negli Stati Uniti. Anche in Asia sono esistite varie forme di schiavismo e quindi lei, in quanto cinese, poteva scriverne partendo della sua “immediata prospettiva culturale”. È questo è un altro bel paradosso della nuova sinistra identitaria americana (non temete… arriverà anche da noi).
Ad essere importante non è tanto cosa c’è scritto in un libro, ma quello che, in un mondo normale, dovrebbe essere del tutto irrilevante: il colore della pelle di chi lo ha scritto.

Stefano Varanelli, 12 marzo 2019

Ti è piaciuto questo articolo? Leggi anche

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version